L’Aquila. 6 aprile 2009-6 aprile 2019. Domani saranno dieci anni da quella tagica notte quando la terra tremò facendo crollare assieme a case, palazzi, monumenti e chiese anche i sogni di tanti cittadini. Ma ancora oggi il bilancio è negativo.
A L’Aquila sono ancora chiuse, dopo quella tragedia, 200 attività e 5mila studenti hanno abbandonato l’università o non si sono neppure iscritti all’ateneo abbruzzese, preferendogli altri posti. Dieci anni dopo il sisma, che uccise 309 persone, ci sono ancora 6.300 sfollati, degli 80mila inziali, che ancora oggi vivono nelle casette di emergenza; molte le case ancora sventrate, dove si vede un mobile sporco di calcinacci o un divano sfondato; tanti ancora i portoni spalancati sulle macerie o sul vuoto… La sola differenza, rispetto a quella notte, sono le impalcature usate per puntellare gli edifici, mentre finora il comune non vuole far tornare i cittadini negli edifici storici, contribuendo così ad aggravare il vuoto del centro storico, che ha sì sistemato i suoi tesori, i palazzi nobiliari, le chiese, ma ha perso la sua vitalità. A decine sono i cartelli “vendesi” o “affittasi”, che spuntano sulle facciate, anche delle case rimesse a nuovo. In questo deserto umano è ovvio che i commercianti non vogliono più rientrare e, mentre prima del 6 aprile ogni porta era un negozio, adesso solo 87 attività su mille sono ritornate, grazie agli incentivi pubblici, ma in dieci anni in 200 hanno chiuso bottega ed altre si sono spostate nei centri commerciali. Solo i locali della movida registrano il tutto esaurito, nei weekend. Per il sindaco, Pier Luigi Biondi, “l’errore fu proclamare la fine dell’emergenza sei anni fa”, mentre i finanziamenti pubblici stanno finendo e quelli statunitensi, promessi da Obama all’indomani del sisma, non sono mai arrivati. Nel frattempo la popolazione continua a diminuire, andata via insieme alla sua speranza di rinascita.
Ciro Cardinale
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