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Andrea Titti – “Adulti poco accoglienti con chi è disabile”

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Ilaria Solazzo, giornalista pubblicista, scrittrice e blogger, ha intervistato per noi e per voi de “Il giornale L’Ora” il dottor Andrea Titti.

Da oggi apre uno spazio su questa testata dedicato ai temi dell’accessibilità ed ai suoi protagonisti che qui racconteranno le loro storie.

Iniziamo da Andrea Titti, giornalista, direttore della testata giornalistica web Meta Magazine, classe 1981. Nato con una malattia congenita agli occhi, Andrea ha vissuto fino ai 20 anni una vita quasi del tutto “normale”, fino a quando, improvvisamente, causa un distacco di retina, ha subito un significativo aggravamento che lo ha portato alla perdita della vista.

Intervista

– Ci puoi raccontare la tua storia?

“Sarò sintetico, onde evitare che il lettore ricorra a gesti apotropaici già alla terza domanda. Nasco con un Glaucoma congenito bilaterale, una malattia che se non curata in tempo può portare alla ciecità. Grazie alle attenzioni dei medici del reparto oculistico dell’Ospedale Pediatrico Bambin Gesù di Roma, mi sottopongo ad una serie di interventi chirurgici, il primo dei quali quando avevo pochi mesi di vita. Grazie alla professionalità di chi mi ha curato ed all’amore della mia famiglia che mi accompagna sempre, ho potuto vivere un’infanzia ed una adolescenza quasi normale, salvando buona parte del potenziale visivo, almeno all’occhio destro. Fino a quando un giorno, a causa di un distacco di retina, indipendente dalla mia patologia, inizio un altro calvario tra ricoveri ed operazioni chirurgiche, che mi hanno portato a poco più di 20 anni a subire un aggravamento della mia condizione che mi porta fino ad oggi”.

Che rapporto hai con la tua disabilità?

“Ho capito di avere un problema quando ho realizzato di non poter fare tutte le cose che i miei coetanei facevano”.

– Ad esempio?

“Non capivo come facessero gli altri a guidare bene quando io non riuscivo a vedere nitidamente oltre certe distanze. Non capivo come facessero i miei compagni di scuola a leggere la lavagna stando seduti al banco, opure a leggere i libri che per me erano scritti con caratteri troppo piccoli”.

– Quindi hai scoperto da solo la tua disabilità: e come hai reagito?

“Sapevo di avere un problema perché portavo gli occhiali, e perché i miei genitori ed il mio oculista mi avevano detto qualcosa, ma non sapevo di avere un problema così serio, che avrebbe comunque segnato la mia vita per sempre. Infondo tanti altri bambini li portavano come me e non avevano grossi problemi. La mia reazione tuttavia è stata molto serena. Ho accettato la mia condizione senza troppi patemi. Ero un bambino, e come tutti i bambini la vita è solo positività. Avevo una certa repulsione per gli ospedali, per le anestesie e le operazioni, ma chi non ha avuto mai paura delle iniezioni? I problemi sono arrivati dopo”.

– Che ricordo hai della tua infanzia?

“Il periodo più bello della mia vita. Non solo perché ci vedevo bene e quindi potevo avere una vita del tutto autonoma, anche se con qualche accorgimento, ma perché ero felice di essere quel che ero”.

– A scuola come andavi?

“I miei risultati scolastici erano molto superiori al tempo che dedicavo allo studio. Questo attirava qualche invidia dei cosiddetti “secchioni”, ma dall’asilo fino alla maturità ho avuto un rapporto splendido con tutti, compagni e insegnanti, molti dei quali fanno parte anche oggi della mia vita”.

– Che studente sei stato?

“A dire il vero anche oggi che ho 41 anni sono uno studente, perché quest’anno ho deciso di riprendere gli studi universitari interrotti forzatamente a causa del mio aggravamento di salute anni fa. Battute a parte: ho sempre avuto una media molto alta nei voti, se si esclude la matematica su cui avevo maturato un certo rifiuto alle superiori. Ciò di cui vado più fiero però è il legame che ho sempre instaurato con i miei compagni”.

– Ce lo puoi raccontare?

“Pur essendo tra i primi delle classi che ho frequentato, non mi sono mai atteggiato a fenomeno, anzi ho sempre cercato di mettermi a disposizione di tutti. Una caratteristica che conservo anche oggi. I ragazzi e le ragazze non mi hanno mai fatto pesare la mia disabilità, così come i miei insegnanti. Molto di ciò che sono ora lo devo a loro, nessuno escluso. Sono sempre stato riconosciuto dai miei coetanei come un punto di riferimento. Una specie di leader dello spogliatoio, di quelli che per farsi ascoltare non avevano bisogno né di urlare né di imporsi su nessuno. Non sono il tipo da piagnucolare e lamentarsi per l’oggettiva sfortuna che ho avuto nella vita. Ho un carattere molto forte, chi mi sta vicino lo percepisce e lo riconosce”.

– Come facevi a studiare?

“Fino alle scuole medie non avevo bisogno di nessun supporto tecnico, al massimo una piccola lente d’ingrandimento tascabile per i testi più piccoli. Alle superiori, soprattutto per i vocabolari di Latino e per i libri di testo con caratteri più piccoli, avevo in classe un video-ingranditore. Uno schermo di 24 pollici circa, con una telecamera puntata su un pianale dove poggiava il libro da leggere. Uno strumento che occupava lo spazio di un banco, che utilizzavo quando ne avevo bisogno. Per i miei compagni era occasione di felicità, perché facilitava la possibilità che io facessi copiare qualcosa nei compiti in classe, a me un po’ pesava, perché vedere quello schermo mi ricordava la mia diversità rispetto agli altri. Ogni volta che entrava in classe un professore nuovo o un supplente, chiedendo cosa fosse quel coso, a me toccava spiegare tutta la storia. Odiavo fare questo, odiavo parlare della mia debolezza. Ne soffrivo molto. Durava pochi minuti però, perché poi tornava il clima sereno di sempre, grazie al modo in cui i miei compagni sapevano gestire la situazione”.

– E oggi?

“Oggi la mia condizione di salute è cambiata, la mia disabilità si è aggravata, sono molto meno autonomo, il mondo degli adulti non è accogliente come quello dei ragazzi di quegli anni, forse anche io non sono lo stesso. Inutile dire che è tutto più difficile. Tuttavia credo di aver tenuto duro cercando di dare il massimo ogni giorno, costruendo anche qualcosa di bello, per me e per gli altri”.

– Sei felice?

“Non credo di conoscere persone totalmente felici, disabili o no. Così come non si può essere totalmente sereni quando si vive una condizione comunque estraniante. Diciamo che non mi sono arreso all’infelicità e sono determinato per raggiungere spicchi di felicità. L’aggravamento della mia salute che ho subito a 20 anni mi ha costretto a reinventarmi la vita. E’ come se a un aereo in decollo qualcuno gli spezzasse le ali. Ti schianti a terra, e devi raccogliere i pezzi della tua vita che ti sono esplosi addosso. Non è stata una passeggiata, per alcuni aspetti sono ancora in cerca di qualche pezzo mancante, ma credo di essere sulla strada giusta, e magari un giorno potrò anche riprendere quel decollo. Per ora si rulla in pista”.

di Ilaria Solazzo

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