Musica

Chiara Ferrari – Cantatrice degli ultimi

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– Come nasce Chiara Ferrari scrittrice?

Scrivo da sempre. Da bambina, alla domanda “cosa vuoi fare da grande?”, tra le varie ipotesi c’era quella della scrittrice. Del resto, ho sempre trovato maggiore facilità a esprimere pensieri, ragionamenti o concetti scrivendoli più che esponendo a voce. Sono una persona riflessiva, tendenzialmente facile all’isolamento, amante del silenzio, in un rapporto amichevole con la tastiera e con lo schermo di un computer. Non so, comunque, quanto possa definirmi “scrittrice”, se basti aver pubblicato qualche libro, più di carattere saggistico che narrativo, essere dedita allo studio e alla rielaborazione. Scrivere è di certo un modo per mettere ordine e per esprimere nella maniera più chiara possibile ciò che intendo far conoscere a un pubblico di lettori. Appassionati, non per forza addetti ai lavori. Chi mi legge spesso commenta che la mia scrittura è per tutti. La mia natura, infatti, è principalmente divulgativa, e si è evoluta nel tempo.

Inizialmente mi sono avvicinata alla scrittura giornalistica – recensioni di spettacoli, interviste ad artisti e maestranze – collaborando con alcune redazioni, negli anni dell’Università, fino a ottenere l’iscrizione all’albo. E poi a quella narrativa, che ho approfondito grazie ad alcuni corsi di scrittura creativa.

La mia tesi di laurea sul teatro di Giorgio Barberio Corsetti e le avanguardie degli anni Settanta mi ha permesso di scoprire il tipo di scrittura che ho continuato a praticare. Che potesse unire ricerca bibliografica, narrazione, divulgazione, racconto biografico, intervista.

Su quella strada ho proseguito e dopo l’esperienza di studio del Master in comunicazione storica dell’Università di Bologna, ho individuato un percorso a me congeniale. Il racconto della storia attraverso fonti alternative, come le canzoni, le manifestazioni spettacolari in genere. La storia, negli aspetti della ricerca, comunicazione e didattica, è del resto parte del mio bagaglio di competenze, lavorando, dopo abilitazioni e concorsi, come docente di materie letterarie negli istituti di istruzione di secondo grado. 

Così, la mia indagine mi ha portato a una prima pubblicazione dedicata a Cantacronache (Politica e protesta in musica: da Cantacronache a Ivano Fossati, Unicopli, 2015) e alla narrazione inedita degli anni del boom economico, attraverso le loro canzoni, di cronaca e di protesta. Un libro che è stato adottato da alcune università, nei corsi di storia contemporanea. Per poi continuare, attraverso la collaborazione con Patria Indipendente, periodico nazionale dell’ A.N.P.I., ad approfondire il mondo della canzone popolare, d’autore, di protesta, inserendola nel contesto storico in cui è nata.

Questo spazio digitale è diventato il laboratorio nel quale mettere a punto il mio modo di scrivere e di focalizzare l’osservazionesulla canzone come fonte per raccontare la storia. Da qui è nata poi l’idea del libro dedicato alle donne del folk (Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Dalle battaglie di ieri a quelle di oggi, Edizioni Interno4, 2021), partendo da una serie di articoli scritti per la rubrica di Patria Indipendente, Pentagramma.[https://www.patriaindipendente.it/categorie/terza-pagina/pentagramma/]

– “Le donne del folk”. Perché “cantare” gli ultimi?

Gli ultimi sono coloro che appartengono alle categorie più svantaggiate, gli emarginati, i senza diritti. Quelli che subiscono discriminazioni e pregiudizi. Quelli su cui la scure della Storia si abbatte. Quelli ai quali la artiste donne di cui ho scritto, ultime tra gli ultimi, hanno dato voce, condividendone battaglie, sogni e speranze.

Nel libro sono declinati in vario modo. Sono coloro, uomini e donne, che si sono trovati in miseria negli anni delle guerre. Sono contadini, braccianti, minatori, jurnatari, lavoratori a giornata, nella Sicilia più martoriata, di cui narra Rosa Balistreri in canzoni come La Sicilia havi un patruni. [https://www.youtube.com/watch?v=aIjIcfzwexY] Sono pescatori, sarte, bambinaie, operaie come le impiraresse che infilavano perle a Chioggia, o come le tessili, dello jutificio di Terni. Ma anche disoccupati, sfruttati. Sono i migranti, che già dall’Ottocento fuggivano dal sud al nord del paese in cerca di lavoro e rischiavano di ammalarsi e morire nella maremma paludosatoscana o nelle miniere (di Marcinelle, di Grosseto). Oppure partivano per l’America in cerca di fortuna, abbandonando con nostalgia la loro terra. E poi i soldati mandati a morire al confine, i partigiani che hanno combattuto l’oppressore, in Italia, come in Grecia e in altri paesi. I morti per mafia, che hanno subito la prepotenza di un potere corrotto. In America Latina sono i desaparecidos. Sono le vittime della violenza di dittatori e colonnelli. In Sudafrica sono i perseguitati dell’apartheid, gli esuli costretti a fuggire per restare vivi. Negli Stati Uniti gli ultimi sono il popolo di colore che negli anni Sessanta manifestava per ottenere i diritti civili; sono i discendenti degli schiavi afroamericani, ancora sfruttati e condannati al linciaggio, malmenati, gettati in carcere, costretti alla catena e ai lavori forzati. 

Li canta Nina Simone, per esempio in Mississippi Goddam. [https://www.youtube.com/watch?v=LJ25-U3jNWM]Sono gli omosessuali, le prostitute, le donne private dei diritti basilari, i senza casa, i matti, i malati, le minoranze etniche. Persone senza tutele, buttate allo sbaraglio in una società ghettizzante.

Molte delle privazioni subite dalla povera gente negli anni passati esistono ancora oggi. Perché ancora nel mondo esistono guerre, violenze sui più fragili, mancanza di diritti basilari.

Queste artiste, raccontando gli eventi dal punto di vista dei più deboli, ci aiutano a vedere la storia da un’altra prospettiva, quella di chi ha sempre dovuto arrangiarsi, protestare per conquistarediritti, difendersi, andare in guerra costretti, di chi ha subito violenza e sfruttamento. La loro è la storia vista dal basso, quella che non si trova nei manuali, ma che ci permette di avere una visione più completa anche della grande storia, mettendo insieme le diverse narrazioni, quella dei vincitori e quella dei vinti.

È quella che si chiama microstoria, ovvero la storia sociale delle culture locali, delle culture ai margini, l’indagine sul vivere quotidiano, sugli eventi che non appartengono alle grandi narrazioni, che stanno sullo sfondo, ma che ci consentono una prospettiva differente anche sui grandi fatti della storia del mondo. Le canzoni della tradizione popolare sono una documentazione importante sulle condizioni di vita in una determinata epoca, sono la voce dei soldati in guerra, dei lavoratori sfruttati in un’Italia devastata dalla miseria, sono la protesta, il grido delle donne, la fame, il dolore di chi è costretto a emigrare, i sentimenti più profondi della gente, l’amore per un uomo, per una donna, per la propria terra, per i figli, per la libertà e l’indipendenza.

Ho voluto evidenziare quanto in diversi paesi del mondo nello stesso momento storico le donne fossero protagoniste nel dare voce a queste fragilità e alle battaglie per i diritti. L’idea è stata quella di trovare una sintesi tra vite, storie diverse, paesi distanti, mettendo in luce convergenze e simili identità: la stessa intenzione di fare del canto lo strumento per emanciparsi, la volontà di essere voce collettiva per dare risonanza alle istanze dei più fragili, in alcuni casi anche nelle vesti di attiviste e militanti; l’impegno nella riscoperta e valorizzazioni delle radici di un popolo; l’espressione di una natura anticonformista, capace di rompere con etichette e stereotipi.

Così ho scritto di queste donne per far emergere la loro vocazione empatica verso i più deboli, e per tenerne viva la memoria. Far conoscere le vicissitudini di artiste coraggiose, pioniere e libere, che hanno sempre saputo da che parte stare.

– C’è un filo rosso che lega tutti i tuoi libri?

Oltre ai libri citati ci sono altre pubblicazioni di cui sono autrice, legate al racconto del mio territorio, il piacentino, attraverso la voce di alcune signore, appassionate di cucina. Le ho considerateeredi delle leggendarie razdore che popolavano le campagne dell’Emilia Romagna e non solo, nell’Ottocento e fino al dopoguerra. Donne forti, che si sono emancipate attraverso l’arte della cucina, conquistando un ruolo di comando, all’interno di comunità fortemente patriarcali. (Le ricette delle razdorepiacentine, Officine Gutenberg, 2015 e 2016).

Le storie di donne sono dunque un tema ricorrente nelle mie ricerche. Donne spesso di umili natali che hanno trovato il modo per affermarsi. 

Altro filo rosso è la valorizzazione del mondo popolare, delle tradizioni orali che passano di generazione in generazione. Questo vale sia per il canto, che per la cucina tipica, espressioni della cultura di un territorio e delle sue radici.

Gli ingredienti poveri con cui in passato si cucinava un piatto, i suoni e le parole di un canto, magari il dialetto, in cui è iscritta la storia di un popolo, sono manifestazioni di un mondo che va preservato, salvaguardato e mai dimenticato. Ricettari di famiglia, antichi saperi, testimonianze raccolte di persona rappresentano fonti preziose per esplorare un passato che ci appartiene e connota la nostra identità. Lo stesso vale per i canti attraverso cui una comunità ha espresso il proprio mondo: la fatica del lavoro, le lotte per i diritti, il bisogno di pace e uguaglianza o anche la celebrazione di un evento collettivo e rituale. Sono tutte fonti a cui si può ricorrere per rievocare, da un’angolatura meno convenzionale, un territorio, la sua voce, il suo patrimonio di storia e di cultura.

– Il tuo ricordo, personale o professionale, più emozionante.

Il mio ricordo professionale più emozionante è legato a un incontro. Un incontro con un’artista – cantautrice, ricercatrice, studiosa, compositrice -, che è tuttora maestra di intelligenza, impegno, empatia, talento, coraggio e potrei continuare. Questa persona è Giovanna Marini che ho avuto l’opportunità di incontrare e intervistare due volte. La prima fu nel 2011, quando lei era a Bologna per un concerto. Presi contatto e con i miei colleghi del Master in comunicazione storica registrammo una video intervista che diventò uno dei contributi più significativi del documentario Cantacronache 1958-1962: politica e protesta in musica, prodotto dall’Università di Bologna e dall’Istituto Parri. Io realizzai l’intervista e quello mi sembrò già un successo professionale impensabile. [https://www.youtube.com/watch?v=x3MYRYpyZB4&t=4s]

Invece, nell’ottobre 2019, trovai il modo di contattarla per una nuova intervista da inserire nel mio libro Le donne del folk. Cantare gli ultimi. Con mia grande sorpresa ritrovai la stessa donna che mi aveva colpito per acume, intelligenza, cultura che affettuosamente si prestava a venirmi a prendere in macchina alla stazione dei treni fuori Roma, per accompagnarmi alla sua abitazione e dedicarmi un tempo pieno di risposte e di riflessioni che non immaginavo. Un tempo pieno di consigli, di suggerimenti e di interesse autentico verso quello che stavo facendo e che avevo in progetto di fare. Poi mi riaccompagnò. Mi sono sentita una privilegiata, che ha avuto la fortuna nella vita di incontrare una persona che davvero ha fatto la storia del nostro paese, raccontandola con le canzoni riscoperte o scritte di sana pianta, lesue straordinarie ballate. Credo che non dimenticherò mai quell’incontro, il mio impaccio, lo stomaco chiuso e la voce balbettante davanti a lei. Umana, comprensiva, disponibile all’ascolto, curiosa, interessata, umile e gigantesca anche per questo.

– Alejandro Jodorowski afferma: <<Il tempo asciuga il superfluo e conserva l’essenziale. Che ne pensi?>>.

Condivido il senso profondo di questa affermazione. Il tempo che passa cambia le nostre prospettive, ci induce a fare dei bilanci, a guardarci indietro e vedere quello che abbiamo realizzato, quello che avremmo voluto realizzare e che ancora non è stato possibileconcretizzare. E poi a guardare avanti, misurando con sempre maggiore precisione, lo spazio che ci resta in cui mettere davvero a fuoco i nostri obiettivi. Si screma, si seleziona, si sceglie con più accuratezza ciò che davvero si ritiene importante. A partire dalle amicizie, dagli affetti, dai progetti da portare avanti. Dobbiamo quindi guardarci dentro. Fare scelte anche dolorose, perché tagliare ciò che ormai non ci appartiene o che crediamo non ci apparterrà più, è un processo comunque necessario per arrivare all’essenziale. Occorre eliminare il rumore intorno, tutto ciò chedistrae dal suono della propria voce. Quella che sempre cerconella scrittura.

– Come vedi il tuo futuro? Obiettivi personali e professionali.

Nel mio futuro vorrei poter dedicare più tempo alla ricerca sui temi che riguardano la mia sfera d’interesse, la musica soprattutto. Approfondire lo studio e divulgare maggiormente questi contenuti anche attraverso forme di presentazione più originali e coinvolgenti rispetto a una semplice lettura o un incontro letterario. In questa direzione ho dei progetti che spero di realizzare. Vorrei ampliare lo spazio da riservare alla scritturaanche riattivando le modalità creative e dell’invenzione che possano sfociare in racconti e magari in un romanzo. Ma anche potermi concentrare sulla biografia di una interprete o musicista. Scrivere, comunque, mi appare l’attitudine su cui investire nel futuro. Tra gli obiettivi personali, progetto di acquistare una casa immersa nella natura, isolata quanto basta da sentire solo in lontananza il rumore del mondo. 

di Roberto Dall’Acqua

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