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Diritti (in)umani: non dimentichiamo Arash Sadeghi

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Amnesty International: «Ha urgente bisogno di test medici salvavita per una rara forma di cancro alle ossa, ma le autorità della prigione iraniana gli stanno negando le cure di cui ha bisogno»

È nato il 29 settembre del 1986. Ha 32 anni e da giugno del 2016 è detenuto nella prigione di Rajai Sharh, a Karaj, classificata come luogo di detenzione di criminali violenti. Lui è Arash Sadeghi, prigioniero di coscienza iraniano, malato di cancro, a cui vengono negate le cure.

Prigioniero di coscienza, dunque. Un termine coniato dall’organizzazione internazionale Amnesty International che si batte in difesa dei diritti umani. È stato arrestato nel settembre del 2014 e condannato nel 2016 a 19 anni di carcere proprio per il suo attivismo pacifico per i diritti umani. È stato imprigionato con l’accusa di “assemblea e collusione contro la sicurezza nazionale”, “propaganda contro il sistema”, “diffondere bugie nel cyberspazio” e “insultare il fondatore della Repubblica Islamica”.

Non è il solo: anche sua moglie, Golrokh Ebrahimi Iraee, è stata condannata nel 2016 a cinque anni nella prigione di Evin per aver scritto una storia inedita sulla pratica della lapidazione in Iran e per il contenuto di alcuni dei suoi post personali sul social network  Facebook.

Ma torniamo ad Arash: la direzione della prigione sta negando all’uomo di 32 anni di curarsi. Sono state numerose le segnalazioni di comportamenti illegali adottati da funzionari di questa prigione nei confronti dei detenuti da parte di organizzazioni di difesa dei diritti umani. In ordine di tempo, c’è persino un rapporto che ne denuncia la situazione, da parte dell’agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani in Iran stilato a febbraio del 2018 sulla situazione prigione di Rajai Shahr a Karaj (città a nordovest della capitale Teheran).

«Il trattamento cui le autorità iraniane stanno sottoponendo Sadeghi non solo è incommensurabilmente crudele; in termini giuridici, si chiama tortura. La direzione della prigione, l’ufficio della procura e le Guardie rivoluzionarie stanno facendo di tutto per impedire che riceva cure mediche adeguate per trattare un cancro potenzialmente mortale», ha dichiarato Philip Luther, direttore delle ricerche sul Medio Oriente e l’Africa del Nord di Amnesty International.

Sadeghi ha un cancro alle ossa.

Intanto «le autorità iraniane stanno volutamente negando le cure mediche a questo coraggioso difensore dei diritti umani, acuendo la sua sofferenza e ignorando di proposito i pareri dei medici. Come se fosse una punizione supplementare alla condanna, profondamente ingiusta, già inflitta a Sadeghi“, ha detto Luther.

Facciamo un passo indietro: ad agosto è stato diagnosticato al giovane uomo il cancro. Lo scorso 8 settembre la direzione della prigione Raja’i Shahr è stata contattata dall’ospedale Imam Khomeini di Teheran allo scopo di organizzare il trasferimento di Sadeghi per un intervento chirurgico previsto la settimana successiva. Ma la risposta data all’ospedale è stata che l’ufficio del procuratore non aveva emesso l’autorizzazione al ricovero. Dopo che i medici avevano chiesto il ricovero del detenuto attivista tre giorni prima dell’intervento, l’uomo è stato invece trasferito in ospedale in ritardo. Poi l’intervento e subito il trasferimento in carcere. Quindi il 15 settembre il paziente è stato riportato in prigione contro il parere dei medici, che avevano chiesto una degenza di almeno 25 giorni per sottoporlo ad eventuale chemioterapia, radioterapia o ulteriori interventi chirurgici. Ma non è stato fatto, come neppure la visita con il chirurgo fissata per il 22 settembre di mattina: l’uomo è stato trasferito in ospedale quando il medico non c’era più, nel pomeriggio. Qui è stato visitato da un medico generico che ha riscontrato l’infezione alla ferita derivante dall’intervento. Adesso l’attivista attende l’esame della biopsia sui campioni rimossi durante l’operazione dalla zona del cancro per valutare se questo si sia diffuso.

Mauro Faso

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