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Elezioni Usa, ieri ultimo “duello” tv Trunp-Biden

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“Sei il presidente più razzista della storia degli Usa”. La frase lapidaria, feroce, cattiva è stata pronunciata ieri da Joe Biden, il candidato democratico alla presidenza Usa, all’indirizzo di Donald Trump durante il dibattito finale in tivù per le elezioni presidenziali 2020, che ha visto un Trump più “morbido” rispetto al precedente confronto, più moderato, lasciando a Biden la parte della tigre.

Alla fine del confronto, a 12 giorni dalle elezioni, però neppure questa nuova linea sembra cambiare di molto il risultato, non riuscendo a ridurre il divario sempre più ampio che divide il presidente uscente dal rivale dem, che tutti i sondaggi considerano avanti. Sul palco della Belmont University a Nashville, Tennessee, i due candidati si sono scontrati su tutto, ma almeno il dibattito questa volta non è finito in rissa, come per il precedente. Trump ha tentato di difendere il proprio operato, ha accusato la Cina di ogni nefandezza, a partire dalla diffusione della pandemia da Covid-19, ha promesso il vaccino già dalle prossime settimane, ha considerato necessario non chiudere il paese per non fermare l’economia. Biden gli ha rinfacciato la crescita dei contagiati, le sue tante bugie, la sua mancanza di un programma per l’America. Trump ha rilanciato  accusando di corruzione il figlio di Biden per le sue attività in Ucraina ed in Cina, quando il padre era il vicepresidente di Obama. Biden ha risposto che l’unico che ha fatto soldi con la Cina è proprio l’avversario, che ha un conto segreto in quel paese ed alla fine ha affondato il coltello sull’aspetto razziale, dicendo a Trump di essere “uno dei presidenti più razzisti della storia moderna”, dopo che lo stesso tycoon si era vantato di avere fatto per gli afro-americani “più di qualsiasi altro presidente da Abramo Lincoln”. Per intanto i repubblicani impediscono ai neri di votare, soprattutto negli stati del Sud, ponendo ostacoli ed impedimenti burocratici contro quegli afro-americani che vogliono esercitare il loro diritto di elettori, forti della decisione del 2013 della Corte suprema degli Stati Uniti, che ha eliminato una parte del Voting rights act del 1965 che stabiliva il divieto per gli stati di adottare norme che ostacolano il diritto di voto senza l’approvazione del governo federale. Da allora molti governi locali, sopratutto a guida repubblicana, hanno introdotto leggi discriminatorie che hanno reso complicate le operazioni di voto, a scapito dei neri.

Ciro Cardinale

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