C’era da temere. Creed (2015), sorta di spin-off dell’apparentemente conclusa saga di Rocky, si riproponeva di ripescare e aggiornare gli umori profondi delle traversie del pugile italo-americano più amato dal cinema, riuscendo quasi magicamente nell’intento.
Questo inevitabile sequel, però, non ha potuto contare sulla regia di Ryan Cooogler (ancora fra i produttori) – impegnato nelle riprese di Black Panther e sostituito dallo sconosciuto Steven Caple Jr. – né sulla sua consolidata sintonia con il protagonista Michael B. Jordan. L’ispiratore Sylvester Stallone, che grazie a loro riacquisì credibilità recitativa nella congeniale parte dell’allenatore dell’irruente figlio illegittimo del defunto amico Apollo Creed, è subentrato nel progetto anche da co-sceneggiatore (con il debuttante Juel Taylor), apporto che poteva divenire invasivo. E se i rischi – peraltro connaturati a qualsiasi sequel – non fossero già troppi, la trama si allaccia a Rocky IV, il capitolo più becero dell’intera serie (nel quale, per l’appunto, Apollo – il celebrato personaggio di Carl Weathers – fu ucciso sul ring), concepito in tempi di reaganismo sotto una forma fintamente conciliatoria.
In effetti, il fatto che qui il redivivo Ivan Drago (Dolph Lundgren, finalmente un po’ al di sopra dei suoi standard espressivi), caduto in disgrazia in Ucraina, nell’imporre come sfidante del giovane campione al centro della vicenda il colossale figliolo Viktor (Florian Munteanu, vero boxer), da lui duramente allenato, non mostri alcun segno di pentimento per ciò che accadde un trentennio prima (né autentico affetto paterno, il che adombra l’attendibilità del finale), sarebbe già un indizio programmatico di rozzezza. Ma per il resto il film, pur muovendosi nel solco della prevedibilità, non ha grosse pecche. È ben girato, perfino nelle sequenze squisitamente sportive, dà spazio ai caratteri secondari (dalla fidanzata Bianca, cantante non udente con il volto di Tessa Thompson, alla madre adottiva interpretata da Phylicia Rashad, dal cinico organizzatore Buddy di Russell Hornsby al preparatore atletico “per discendenza” di Wood Harris, sino ai ritornanti Milo Ventimiglia e – addirittura! – Brigitte Nielsen, che riprendono i ruoli di Robert Balboa e Ludmilla), sa far buon uso delle componenti ormai risapute (vedi l’usuale visita al cimitero). Rimane qualche consapevole parentesi aperta (il lampione guasto, le sorti della bimba appena nata), tuttavia si tratta di aspetti che conferiscono maggiore realismo al plot (tipo la statua di Philadelphia…). Insomma, un Rocky VIII che sancisce degnamente un definitivo passaggio di testimone.
Creed II (id., USA, 2018) di Steven Caple Jr. con Michael B. Jordan, Sylvester Stallone, Tessa Thompson, Dolph Lundgren, Florian ‘Big Nasty’ Munteanu
Massimo Arciresi