In un paio di momenti di Sogni d’oro (1981) Moretti si divertiva a contrapporre le opinioni dei cultori sull’ultimo lavoro di Don Siegel, “pieno di” o “tutto giocato sugli stereotipi”, a seconda delle interpretazioni.
L’osservazione vale ancor oggi: le ingenuità, le grossolanità, i cliché disseminati in un film sono frutto di calcolata scrittura atta a mettere in risalto vedute magari semplicistiche, tuttavia in linea con l’epoca e i personaggi in campo? Un indizio a favore di tale ipotesi è che dietro la cinepresa di questa dramedy che ricostruisce le otto settimane di tournée del 1962 negli USA meridionali, dove le regole di segregazione erano dure a morire, dell’acclamato e raffinato (nonché solitario) pianista coloured Don “Dr.” Shirley – che si esibiva in trio con un violoncellista e un contrabbassista – affiancato dal neo-assunto autista Tony “Lips” Vallelonga, rozzo gorilla italoamericano incline all’espediente e alla trattativa (ma pronto a menar le mani) non esente da sciocchi pregiudizi che però, prendendo sul serio l’incarico, lo protesse dalle aggressioni e dalle insolenze di una popolazione non abbastanza kennedyana, troviamo uno dei fratelli Farrelly (quello che, ufficialmente, esordì da solo con Scemo & più scemo), per formazione orientato – pur in contesti demenziali – alla scorrettezza volontaria. Sul versante opposto si registrano alcune recenti proteste consorziali, secondo le quali le passioni attribuite ai neri per il pollo fritto e per un certo tipo di musica in voga all’epoca, tanto per citare due esempi marchiani presenti nella pellicola, non sarebbero che la massiccia conferma d’una visione ristretta del mondo.
Può anche darsi. E in effetti lo stile narrativo non è utile a far cambiare idea a spettatori intrinsecamente “conservatori”, possibilmente incapaci di cogliere le (eventuali) finezze della sceneggiatura che il regista ha approntato insieme a Brian Hayes Currie e Nick Vallelonga, figlio e “biografo” del buttafuori reso con facilità sullo schermo da Viggo Mortensen (più sfumata è la prova di Mahershala Ali). D’altronde l’indignazione comunque porta dalla vicenda, benché sostanzialmente superficiale, arriva presto alla platea, ed è un fatto da non sottovalutare. Poi, come vuole tradizione, è piuttosto ovvio che due caratteri concettualmente diversi si aiutino, si comprendano progressivamente e migliorino, fino a diventare amici complementari, un “braccio” e una “mente”, ed emerge tra l’altro quando Tony scrive romantiche lettere alla moglie (la dolce Linda Cardellini) sotto dettatura del ben più ispirato Don. Alquanto stranianti le similitudini con Un biglietto in due.
Green Book (id., USA, 2018) di Peter Farrelly con Viggo Mortensen, Mahershala Ali, Linda Cardellini, Dimiter D. Marinov, Mike Hatton
Massimo Arciresi