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In “Elegie d’incanti” malinconia e bellezza del mondo classico

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E’ un tuffo nel mondo classico “Elegie d’incanti”, l’opera del ventunenne Luigi Reale, originario di Maiori (Salerno), un paese sulla Costiera Amalfitana, e, non a caso, studente di Lettere Classiche all’Università di Padova.

La raccolta, pubblicata nella collana “I Diamanti della Poesia” dell’Aletti editore, è suddivisa in tre sezioni: “Ceneri di antichi amori”, “Aghi di inascoltate amenità” e “Corona di un nuovo ardore”. Qui, la parola poetica è portatrice di una pluralità di emozioni, di sentimenti e stati d’animo, in cui realtà e irrealtà si identificano tra i limiti del tangibile e dell’empirico. Sono diversi i temi scelti ma il filo conduttore si identifica nel tono sommesso e malinconico. L’amore, i ricordi, la sofferenza, i tormenti di una madre, la speranza, la natura. E a fare da sfondo è lo scorrere della quotidianità.

«Nel contesto letterario greco e latino – spiega l’autore – venivano definiti elegiaci i componimenti poetici scritti per una condizione di infelicità o di incomprensione. In “Elegie d’incanti” si manifesta dunque una condizione vitale di tal genere: si oscilla fra travolgenti sentimenti del passato e del presente, si configurano infiniti viaggi dell’animo nella contemplazione del tempo e dello spazio, si generano il fervore e la consapevolezza della propria diversità». E sugli stati d’animo che si alternano nell’opera, si sofferma anche Alessandro Quasimodo, che, nella Prefazione, scrive: «Sono stati d’animo coltivati in modo raffinato, quasi contemplati. Si genera una certa voluttà nel dolore; per questo la parola elegia viene associata a incanto. È bello lasciarsi cullare da un dolce struggimento che ti fa scorgere gli oggetti con gli occhi velati di pianto. Si aprono nuove prospettive, insoliti aspetti che cambiano il volto al mondo in cui ci troviamo». Del resto, come racconta lo stesso poeta, le emozioni e i sentimenti sono autentica ispirazione per i suoi versi, a cui approcciarsi con «silenzio, pacatezza, serenità» e che rivestono un ruolo quasi catartico. «La poesia è il respiro della mia interiorità e la modalità con cui momenti o eventi più o meno significativi raggiungono un coronamento ideale nella complessa dimensione temporale del mio spirito. Vivo i miei giorni in costante comunione con me stesso e, in alcuni momenti, sento delinearsi in me la certezza di vivere appieno soltanto nell’atto stesso della produzione». «Rievocare o descrivere – aggiunge Luigi – sono le modalità predilette con cui mi esprimo. Nel mio tessuto poetico si manifesta, infatti, in forma ricorrente una propensione alla rievocazione del passato o un declinarsi all’analisi di un contesto in grado di ricondurmi ad una realtà superiore, intangibile ed eterna».

E dal mondo classico, con i suoi miti e le tragedie, non può che derivare la propensione al Bello. «Un’interpretazione di matrice platonica – afferma l’autore – che considera la Bellezza come entità che trascende la circoscritta tangibilità del mondo reale ed empirico e che può essere contemplata soltanto dalla purezza e dall’innocenza dell’Anima». Nel suo percorso stilistico si riscontrano, inoltre, elementi della poetica di Petrarca, Pascoli e D’Annunzio. Ma anche di Ungaretti, Quasimodo e Montale. Che diventano ispirazione per l’anima, per la sfera ermetica e spirituale.

Com. Stam.

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