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La distruzione dello Yemen

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La storia e la cultura dello Yemen rischiano di essere spazzate via dalla guerra e dai bombardamenti indiscriminati della coalizione araba. l’onu non riesce a fermare il conflitto e, fra l’indifferenza generale, ogni giorno avanza la distruzione materiale e culturale del popolo yemenita

 

Durante la prima metà del ‘900 sappiamo che la guerra assunse una forma molto diversa dal passato: era diventata trasversale, indiscriminata. In una parola, totale. Durante le due guerre mondiali le bombe non cadevano più solo sui campi di battaglia, ma anche nelle città, fra i civili e i monumenti. Recentemente, film come “Monuments Men” hanno ricordato l’impegno e il sacrificio di coloro che tentarono di salvare i tesori dell’arte e della cultura dalla distruzione della guerra rischiando la propria vita. Tutta quella distruzione era inaccettabile: nel 1954 all’Aja venne siglata la Convenzione internazionale per la protezione dei beni culturali, nella quale le parti contraenti si impegnarono a non sottoporre ad azioni militari edifici e/o monumenti di interesse storico e a non utilizzare queste categorie di beni a scopo militare. Nel 1999 fu siglato il II protocollo annesso alla Convenzione, che in maniera ancora più incisiva tutelava i siti archeologici, i luoghi di culto e i monumenti di interesse storico. Inoltre, lo steso Statuto della Corte penale internazionale considera l’attacco e la distruzione del patrimonio culturale di un popolo un crimine di guerra, e come tale perseguibile.

 

Questa premessa era necessaria ad introdurre il nostro tema, che ci porta in un Paese affascinante quanto pericoloso, lo Yemen. Già conosciuto dai Romani come “Arabia Felix”, fu già sede del mitico regno della Regina di Saba. Fino al secolo scorso fu un enorme mercato di spezie, gemme, incenso e tessuti preziosi, provenienti dai quattro angoli dell’Oceano Indiano. Una storia millenaria dove regni ed imperi si sono susseguiti l’uno all’altro: i semiti, gli Arabi, gli Ottomani….  Ogni popolo che lo ha attraversato ha lascito qualcosa. Innumerevoli sono i monumenti di questo affascinante scrigno immerso nelle sabbie del deserto, al punto da ospitare ben 3 siti dichiarati patrimonio dell’UNESCO.

 

Dal 2015 questo magico Paese è dilaniato dalla guerra fra i ribelli Huthi e la Coalizione dei Paesi arabi, guidata dall’Arbia Saudita. In quello che ormai è diventato un vero e proprio inferno, le statuizioni della Convenzione sono rimaste praticamente lettera morta. Secondo l’archeologa Lamya Khalidi, che si occupa della situazione nello Yemen da quando sono iniziate le ostilità, finora sono stati oltre sessanta, fra siti archeologici, musei e moschee i monumenti seriamente danneggiati dai combattimenti. Nei tre quarti dei casi i danni sono stati causati dai bombardamenti della Coalizione a guida saudita. La prima vittima di questo enorme attentato alla storia è stata la città vecchia di Sana’a, la capitale del Paese. Vecchia di oltre 3000 anni, era stata riconosciuta come patrimonio dell’Umanità dall’UNESCO nel 1986. Ormai ridotta in macerie dai bombardamenti, è lo sfondo spettrale di quella che ormai è divenuta una delle peggiori crisi umanitarie mai viste dalla fine della Seconda guerra mondiale.

Edifici distrutti nel centro storico di Sana’a. Patrimonio dell’Umanità dal 1986

Al culmine delle ostilità, quando incominciò anche l’intervento della coalizione in appoggio al governo del presidente Hadi, l’UNESCO aveva provveduto a comunicare nome e località di tutti i siti considerati di rilevante valore culturale, così da evitare un loro coinvolgimento nei combattimenti. Ovviamente, tutte queste precauzioni non sono state minimamente prese in considerazione. Dato che Hadi, contestato dai ribelli Huthi, è ancora riconosciuto come il legittimo presidente dello Yemen dalla comunità internazionale (e dato che in pochi Stati hanno interesse a contestare la politica estera di un Paese come l’Arabia Saudita) gli appelli ad una composizione pacifica del conflitto rimangono inascoltati. L’ONU si limita di tanto in tanto a chiedere alla Coalizione di allentare il blocco navale per consentire alla popolazione affamata di ricevere aiuti umanitari (nella sostanza, poco cibo e ancora meno medicine).

EREDITà MINACCIATA

Sana’a è solo uno degli innumerevoli nomi di un elenco che si allunga di giorno in giorno: dalle rovine di Marib, antica capitale del mitico Regno di Saba, all’antichissimo tempio di Awwam. Dal maestoso castello di Al Qahira alle incredibili torri nel deserto della città di Shibam. In alcuni casi i danneggiamenti sono stati causati dagli stessi ribelli Huthi e dai nuclei di Al Qaeda presenti nella regione, che hanno tentato di emulare la stessa opera di distruzione attuata dallo Stato Islamico in Siria. Ma purtroppo, come dicevamo, i danni maggiori sono stati causati dai bombardamenti aerei condotti dall’aviazione saudita. Sia la Convenzione che il II Protocollo addizionale pongono chiari e rigidi divieti alla possibilità di condurre azioni armate nei pressi di questi delicati beni, imponendo inoltre alle parti di fare tutto il possibile per permettere alle autorità competenti di svolgere le necessarie operazioni di tutela e messa in sicurezza. Orbene, nessuno degli obblighi è stato rispettato da questi Stati, in particolare (neanche a dirlo) dall’Arabia Saudita.

Distruzione del maestoso castello di Al Qahera.

Non bisogna essere degli esperti  per capire che siamo di fronte a macroscopiche violazioni del diritto internazionale. La domanda è: quando si leverà lo sdegno della comunità internazionale per una guerra che, oltre a mettere materialmente in ginocchio un popolo, ne distrugge anche il retaggio? Una moschea del IX secolo non è meno importante di una chiesa barocca. Un sito archeologico dell’Arabia preislamica non è meno importante di un tempio romano. Dobbiamo batterci per ogni singola opera dell’ingegno umano, dovunque essa si trovi, con la stessa intensità e con la stessa tenacia, perché  la posta in gioco non è la storia di un singolo popolo, ma quella dell’umanità intera.

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