Mezzogiorno, Mezzogiorno. “Politiche per il Mezzogiorno”. Sud, sud. “Crescita del Sud”. Frasi che suonano come parole d’ordine, parole che negli anni si sono succedute per indicare che “c’è più bisogno del Mezzogiorno”, che “il Mezzogiorno deve allinearsi con il resto d’Italia”, che “lo sviluppo del Meridione, alla pari delle altre Regioni, è necessario”. È lungo l’elenco delle personalità politiche che hanno ricoperto ruoli e compiti importanti per risolvere le ataviche questioni del Mezzogiorno d’Italia. Durante la prima Repubblica diversi siciliani, come Filippo Fiorino di Partinico, da Sottosegretario alla Presidenza del governo Andreotti con delega al Sud, si sono occupati della lenta crescita industriale, occupazionale ed economica del Sud. Anche Calogero Mannino, agrigentino nato ad Asmara e più volte al governo, ricoprì la carica di ministro “per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno” cercando di assolvere un compito sicuramente importante ma fin troppo strumentalizzato da tutte le compagini governative. Nel corso degli anni, ministri che trattassero esclusivamente di questione meridionale non se ne sono più visti. Sono cambiati i tempi ed è maturata la consapevolezza di non dover comunque affibbiare un “handicap dichiarato” a un popolo che comunque ha dignità da vendere. Oggi sul banco dello sviluppo economico di tutte le Regioni, comprese quelle del Sud, persistono i fondi legati all’Ue. Forse solo quelli, se si considera quanto ha inciso fino ad oggi la sommatoria di crisi economica, razionalizzazione dei trasferimenti dello Stato e cancro delle infiltrazioni mafiose negli Enti locali. Secondo il quadro globale degli economisti più accreditati, la vera chiave di volta dello sviluppo che può contribuire a fare riemergere il Sud, e dunque l’intero Paese, sta nell’integrazione tra agricoltura, industria, turismo, logistica e infrastrutture in tutta l’area mediterranea. Probabile, ma come attuare tutto ciò? Quanti governi (operosi) dovranno succedersi per dar vita a un’ipotesi di unione dei settori produttivi? Intanto il sottosegretario Delrio con delega alla Coesione sociale si dice sicuro sulla crescita del Mezzogiorno, tanto da sostenere che già quest’anno il Sud crescerà più del Nord: «Il Pil del Sud vale all’incirca 400 miliardi, io penso che nel 2015 possa aumentare del 2% grazie agli investimenti in corso e ai segnali che ci stanno arrivando». Più del doppio di quanto previsto per l’intero Paese (0,8%) dal ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. E stranamente Delrio non smentisce il dietrofront sul taglio del cofinanziamento degli eurofondi alle Regioni meridionali. Come è possibile? «Calibrare le quote di cofinanziamento in relazione alla capacità di spesa della Regione» ci spiega «non è togliere finanziamenti, ma evitare che si perdano risorse». La decisione riguarda il periodo 2014-2020, non quello per cui si sta cercando, quest’anno, di portare a compimento la spesa 2007-2013. «Fra sette anni l’Ue ci darà molti fondi in meno, questo è l’ultimo periodo utile per far rialzare il Sud con investimenti propulsivi per l’economia. Per raggiungere questo obiettivo credo che il Mezzogiorno meriti una fiscalità di vantaggio». Qualcuno sostiene che quest’ultima potrebbe essere inserita già nella prossima riforma del fisco e lo stesso sottosegretario conferma che, il vantaggio fiscale è già stato istituito per le start up siciliane e cercherà dunque di allargarlo dove «il contesto è obiettivamente più difficile». Adesso il governo starebbe per concentrarsi anche su progetti rilevanti, che se attuati “produrrebbero”, almeno in quelle province, un futuro più agevole. Il riferimento è agli investimenti su Gela, Bagnoli, Gioia Tauro e Taranto, per fare alcuni esempi. «Basta avere due Italie!» Altra sfida, oltre al sud, sono i giovani: «ma il Jobs act le può far vincere entrambe». Il Jobs Act e nove miliardi di investimenti dai fondi europei al Sud, sui quattordici complessivi, colmeranno il divario. Parola di Graziano Delrio.