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Operazione “The Witness” Quattro arresti nel marsalese

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[dropcap size=big]I[/dropcap]eri, i Carabinieri del Ros e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Trapani, hanno arrestato grazie all’operazione definita “Witness”, quattro persone. Si tratta di affiliati alla famiglia mafiosa di Marsala indagati per associazione di tipo mafioso, fittizia intestazione di beni e favoreggiamento aggravato. L’ordinanza di custodia cautelare in carcere è stata emessa dal Gip di Palermo su richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia. I quattro arrestati sono: Antonino Bonafede e Martino Pipitone, pregiudicati per associazione di tipo mafioso e detenzione abusiva di armi; Vincenzo Giappone e Sebastiano Angileri, incensurati,è risultato far parte del clan anche Baldassarre Marino, trovato morto nelle campagne della zona il 31 agosto 2013, nei confronti di quest’ultimo le indagini avevano evidenziato il suo rapporto con una ditta di cementi, formalmente intestata a terzi. Dalle indagini, dirette dal Procuratore Aggiunto della DDA di Palermo, Teresa Principato, e coordinate dal sostituto procuratore Carlo Marzella, è emersa l’effettiva operatività della famiglia Marsalese ed è stato possibile definire il ruolo che ognuno di loro aveva all’interno della cosca.
Il ruolo di reggente della famiglia era stato affidato ad Antonino Bonafede, che collaborava in primis con il “cassiere” Vincenzo Giappone.
E’ stato accertato anche che il ruolo dell’anziano e pluripregiudicato della famiglia, Martino Pipitone, che nei suoi “anni d’oro” esercitava la propria sfera d’influenza principalmente nel centro storico della città, era stato riattualizzato; Pipitone, infatti, insieme a Sebastiano Angileri, gestivano una società attiva nel commercio all’ingrosso di materiale ferroso, società che formalmente era intestata alla moglie di Angileri.
Quest’ultimo, inoltre, si occupava di coordinare gli incontri tra gli esponenti mafiosi, preoccupandosi di effettuare dei sopralluoghi preventivi per ovviare ai controlli delle telecamere posizionate nel territorio dai Carabinieri di Marsala.
Missione non compiuta però, per Angileri; infatti i militari utilizzando dei mezzi di controllo molto sofisticati sono riusciti più volte a monitorare il passaggio di denaro tra gli affiliati, solitamente contenuto in buste di carta. Il “malloppo”, da loro così definito, serviva per il sostentamento delle famiglie dei detenuti, in particolare quella dell’ergastolano Giacomo Amato.
Una mafia vecchio stampo quella dei marsalesi, che per aggiudicarsi appieno il controllo del territorio si occupavano dei vari problemi del marsalese, tra cui ad esempio le controversie tra gli agricoltori e i pastori, o di programmare l’esecuzione di atti intimidatori nei confronti dei nuovi esercizi commerciali che in qualche modo avrebbero contrastato le attività degli esercenti protetti dagli affiliati.
Pare che in questo, la cosca, fosse supportata da un amministratore pubblico, che avrebbe evitato di rilasciare licenze “non gradite” agli affiliati.
Di fondamentale importanza per le indagini, sono state le intercettazioni audio e video, dalle quali è emersa anche una controversia per l’autorizzazione relativa all’apertura di una palestra.
“Quella è una stronza e arrogante”, queste le parole di Giappone a proposito della “concorrente” del titolare della palestra, guarda caso amico del suddetto. E ancora Giappone, dopo aver fatto intendere all’amico di essersi recato presso un ufficio del Comune di Marsala, aggiunge: “compà un’aggualata gliel’ho data…qui per il culo non mio deve prendere nessuno […] Stamattina devo parlare con un altro, ti pare che mi fermo drocu”; a questo punto l’amico interlocutore chiede:
“compare mio senti ma con il vice sindaco, con Michele, ci hai parlato?”. “Compare – ribatte Giappone – no, magari se quello mi diceva mezza parola capace che mi avrei abbattuto contro di lui”. Il vice sindaco in questione sarebbe stato Michele Milazzo, contro il quale comunque non sono emerse ipotesi di reato e non è toccato in alcun modo dall’indagine.
Fondamentali anche le dichiarazioni dell’ex capo della cosca di Marsala, Francesco De Vita arrestato nel 2009 dai Carabinieri dopo nove anni di latitanza, ma che poco dopo ha ritrattato tutto per volere dei figli, che durante un colloquio in carcere gli hanno ordinato di tacere. S.T.

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