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Quando il magistrato diventa politico del prof. Vincenzo Musacio

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Nel nostro sistema costituzionale l’autonomia della magistratura è rigorosamente e minuziosamente garantita. A parte le argomentazioni giuridiche, a mio giudizio, un punto deve restare fermo ed inattaccabile: la garanzia dell’indipendenza dei giudici e la loro assoluta estraneità dalle parti in causa. Non dimentichiamoci che la Costituzione prevede anche la possibilità di limitare o vietare per legge l’appartenenza ai partiti. Di fatto, questa legge purtroppo non si è mai portata all’attenzione del Parlamento. Personalmente, sono per l’assoluto divieto al magistrato di svolgere qualsiasi attività di partito. La mia generazione era abituata a considerare i giudici come sacerdoti missionari (soprattutto verso figure quali ad esempio il giudice Rosario Livatino). A scanso di equivoci, voglio precisare che il diritto individuale del magistrato di accedere alle cariche politiche non può ritenersi assoluto, ma, a mio giudizio, non può non essere messo in relazione con i principi costituzionali dell’autonomia e dell’indipendenza che meritano una tutela assoluta e che impongono di evitare anche la mera possibilità di offuscamento dell’imparzialità del magistrato. Ritengo sia a questo punto improrogabile un serio intervento legislativo che disciplini le modalità di accesso dei magistrati alle funzioni politiche e al tempo stesso introduca forti limitazioni di tipo territoriale e funzionale, dell’elettorato passivo, dell’accesso diretto alle cariche amministrative e di governo, nonché del ritorno del magistrato all’esercizio delle funzioni giudiziarie, non escludendo in alcuni casi tassativamente previsti, il divieto di ritorno all’esercizio di funzioni giudiziarie. Per dirla con parole più semplici, nel territorio dove esercita la funzione giudiziaria, il magistrato non dovrebbe accettare candidature ne assumere incarichi politici e amministrativi negli enti locali. Il dibattito sul tema, ovviamente, è aperto ed in continua evoluzione da anni, tuttavia, il problema sussiste ormai da tanto tempo ed ha assunto dimensioni senza precedenti in seguito all’indebolimento della politica, che ha cercato in questi anni, spesso e astutamente, un accreditamento nel contributo di singoli magistrati. La questione va risolta al più presto soprattutto sulla base del fatto che il magistrato oltre ad essere imparziale deve anche apparirlo. Voglio chiudere proprio con una frase di Rosario Livatino sulla funzione del giudice: “Il giudice di ogni tempo deve essere ed apparire indipendente, e tanto può esserlo ed apparire ove egli stesso lo voglia, e deve volerlo per essere degno della sua funzione e non tradire mai il suo mandato”.

VINCENZO MUSACCHIO
Docente di Diritto Penale presso la Scuola di Formazione (CONF.S.A) in Roma
Presidente dell’Istituto Nazionale di Studi sulla Corruzione in Roma
Direttore Scientifico della Scuola della Legalità “Don Peppe Diana”
Editorialista de “L’Ora” di Palermo e della Gazzetta del Mezzogiorno

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