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Ritorna in esposizione l’ariete bronzeo del Museo Salinas di Palermo

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Il 18 dicembre alle ore 11 ritorna in esposizione permanente l’ariete di bronzo del Museo Salinas di Palermo, uno dei reperti di maggior pregio delle collezioni del museo L’evento sarà accompagnato dalle musiche di Domenico Pecoraro (chitarra) e Riccardo Lo Coco (mandolino) del Conservatorio “Vincenzo Bellini”  di Palermo. In programma musiche di Telemann, Di Majo, Bortolazzi, Paganin, Piazzola.

 

Ingresso libero 

Orari: mar-sab: ore 9.30-13.30; ore 14.30-17.30 Domenica: 9.30-13.30 lunedì: riposo settimanale

 

Galleria fotografica à https://drive.google.com/open?id=0BytKNh31yFrFanVLVnd3ejJ2T1U

 

LA STORIA DELL’ARIETE BRONZEO DEL MUSEO DI PALERMO

 

Il grande Ariete bronzeo proveniente da Siracusa, ha una storia lunga e complessa da raccontare. Il nostro Ariete, infatti, è l’unico superstite di una coppia che, ancora  nel cinquecento era posta ai lati del portale d’ingresso al  Castello Maniace di Siracusa, edificato a Ortigia da Federico II di Svevia. Non è noto, tuttavia, se la coppia di bronzi, variamente datata tra il III sec.a.C. e il II sec.d.C., provenisse dalla stessa  Siracusa  o se l’imperatore svevo l’avesse recuperata in altro luogo e destinata successivamente ad adornare la nuova possente fortezza.

Da Tommaso Fazello sappiamo che nel 1448 la coppia di bronzi fu donata da Alfonso d’Aragona, come premio per avere sedato una sommossa a Siracusa, a Giovanni Ventimiglia marchese di Geraci che li trasportò a Castelbuono.  

Alla sua morte, il figlio Antonio li pose a decorare la tomba paterna, ma pochi anni dopo, per ordine del Viceré Gaspare de Spes, le due statue, insieme a tutti i beni,  vennero confiscate a Enrico, nipote di Giovanni, accusato di tradimento e trasportate a Palermo nella sede dei Viceré, il Palazzo Chiaramonte (Steri), dove furono collocate intorno al 1510-1511.  Nel 1517, tuttavia, le sculture furono trasferite al Castello a Mare, divenuto nel frattempo sede regia. Alcuni decenni più tardi, quando la sede regia si trasferì al Palazzo Reale, le due sculture furono lì trasferite e poste ad adornare una delle sale più belle del Palazzo che, proprio in virtù della presenza dei due arieti, venne chiamata “Camera de los Carneros” o “Stanza delli Crasti”.

 Nel 1735, al tempo di Carlo III, le statue furono portate a Napoli, ma, nello stesso anno, a causa delle proteste dei Palermitani, vennero trasferite nuovamente a Palermo, nella Galleria del Palazzo Reale dove furono viste da Wolfgang Goethe e ammirate da Jean Houel che le rappresentò in una splendida incisione del suo Voyage Pittoresque.

Da Michele Amari sappiamo, infine, che durante i moti insurrezionali del 1848 una delle due statue fu colpita da una cannonata mentre  la seconda venne solo leggermente danneggiata e  donata poco dopo al Regio Museo di Palermo dove, ancora oggi, si trova.

Sotto il profilo stilistico, si tratta di un’opera di straordinaria raffinatezza ed eleganza e caratterizzata da un efficace naturalismo. 

 L’animale è raffigurato accovacciato con la zampa anteriore destra ripiegata su se stessa, mentre la sinistra è portata in avanti, quasi pronta per effettuare un alzo in avanti.

La testa è ruotata a sinistra, con i grandi occhi spalancati, le narici sono dilatate e la bocca è semiaperta. Il vello, finemente modellato con ciocche lunghe e ondulate, ricopre per intero il corpo dell’animale,  mentre la fronte e la porzione sottostante alle corna sono ricoperte da fitti riccioli. 

 La qualità artistica dell’opera è notevolissima, in particolare per quello che riguarda la minuziosa resa dei dettagli anatomici, del vello, dei riccioli e per la sapiente capacità di rappresentare l’animale in una posa piena di tensione.

Si tratta di  un prodotto di alto livello,  stilisticamente collegabile, secondo alcuni studiosi, ad un contesto culturale di pieno ellenismo influenzato dalla scuola di Lisippo, il grande scultore greco del IV secolo a.C. L’analisi stilistica ha indotto a ipotizzarne una realizzazione all’interno  di una bottega siracusana di grande livello artistico e una probabile destinazione al palazzo dei tiranni della città.

 Recentemente, tuttavia, a seguito di un approfondito intervento di restauro, si è proposta per la scultura una datazione ad età romano-imperiale, compresa tra la fine del I e la fine del II sec. d.C., giustificata da alcuni dettagli tecnici nella realizzazione dell’opera.

Com. Stam.

 

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