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Rubrica: Storie di Sicilia L’impegno politico di 5 giovani siciliani e la scoperta della pasta con le sarde in una Palermo esuberante…

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Quannu a pasta che sarde è ‘nta pignata, ci voli ‘a tavula cunzata… Era un mattino d’estate dopo che l’ultimo ansimante sbuffare della locomotiva si fu del tutto spento nella soffice nebbia della nostra casa di mare…mia madre con cui avevo condiviso tutta la mia vita mi apparve, in sogno, in tutta la sua meravigliosa bellezza.

Mi chiese se avessi preparato tutto. Pensai a lungo a tutte le azioni che avevo fatto per riporre ogni cosa nel grande baule. Il mio primo giorno di scuola, la nascita del cugino Giovanni, la morte di mia nonna, ogni cosa in un posto preciso da potervi accedere con facilità. Lei guardò nel baule dove avessi riposto il tutto, la mia metà, e sorrise davanti al mio agitarmi nel suo ventre. Il suo viso divenne d’improvviso triste. Mi chiese dove fossero i suoi sogni di madre. Sbottonai lentamente la camicia, erano legati ad un filo d’oro sul mio petto per poter entrare nei suoi sogni anche dopo che dall’esistenza fosse stata liberata… ma un rumore antistante la mia camera mi fece capire che era solo un sogno e che mi ritrovavo a Roma con dei miei compagni di viaggio a seguire i lavori del mio partito (Il PSI: Partito Socialista Italiano) a cui da poco avevo fatto parte come giovane simpatizzante…

Il Partito aveva organizzato il rientro da Roma per i giovani siciliani in nave con partenza dal porto di Civitavecchia (città che avrei rivisto due anni dopo per svolgere il servizio militare…)  e quindi io ed il mio gruppo di giovani socialisti ragusani prendemmo il pullman della Cotral diretti al porto di Civitavecchia spinti dall’entusiasmo per fare rientro a Ragusa…

Era il 7 maggio del 1975! Eravamo partiti da Civitavecchia 15 ore prima e Il buio della notte aveva intriso di mistero tutto intorno a noi. Eravamo tutti stanchi e carichi di esperienze ed emozioni, che Ipnos dopo pochi momenti ci avvolse nelle sue calde braccia…
Mi svegliai con un sussulto al suono di una sirena… scrutai dall’oblo della mia cabina e vidi all’orizzonte due luci piccole e minuscole. Si alternavano e non riuscivo quasi a distinguere il loro segnale. In cabina notai stralci di Umanità che si affannavano ancora a consumare le ultime forze rimaste tanto che Il silenzio, per tutto il tragitto, non fu mai totale.

Sentii in sottofondo delle voci che si inseguivano da due monitor accesi e, più in profondità, il rombo sordo e costante dei motori che si confondeva con il muggito del mare. Riposammo ancora in qualche modo ma non fu facile non tanto per le scomodità in cui eravamo quanto per l’ansia crescente del ritorno alla madre patria (sì per noi siciliani la terra di origine è come una madre nel senso letterale del termine…). Non ci perdemmo l’alba sul mare. Le prime luci ci spinsero ad uscire sul ponte. Assistemmo alle manovre dei marinai e scrutando l’orizzonte vedemmo Palermo.

Ci vennero in mente i film ambientati in questi luoghi come “Dimenticare Palermo” o “Palermo Shooting” mentre aspettavamo di sbarcare. Tutto andò nel migliore dei modi.

Durante la permanenza a Roma, tutto il gruppo dei giovani ragusani aveva stretto amicizia con Totò Buttitta, un giovane socialista palermitano che ci invitò a farci da cicerone e a pranzare a casa sua dove sua madre, che era la proprietaria di una trattoria, ci avrebbe cucinato specialità siciliane… il consenso fu unanime ed il Buttitta fu prettamente felice e orgoglioso per l’esito positivo del suo invito.
La città sembrava aspettarci. Il centro storico si presentò con straordinarie creature arboree che ci lasciarono senza fiato come Il Ficus macrophylla di piazza Marina che disegnava bizzarre creature altrettanto cinematografiche. Rimaneva ancora tempo per gustare la crema di pistacchi nascosta in un cornetto… il dolce benvenuto che ci meritavamo.

Iniziammo il cammino. Strade lastricate e ampie, vicoli, palazzi decorati, merlature di fortezze arabe, ricami di corti normanne, palme, parchi, chiese in cui si stavano svolgendo riti bizantini. Tutto ci sovrastava, ci incuriosiva. Anche il caldo. La cappella Palatina era un sogno d’oro, piazza Pretoria era un bestiario di pietra e acqua. Le librerie, le gioiellerie, la bellezza della Cattedrale, i richiami dei negozi, le cartoline, le ceramiche, il profumo dei cibi e la parlata della gente ci fecero vorticare fino a confonderci del tutto. Tutto l’insieme contribuì a spezzare i pregiudizi, che ci portavamo da semplici provinciali, sulla città e le genti del capoluogo di regione. Le scritte sui muri scardinavano tutte le idee preconcette che avevamo, anche quelle più resistenti. Mi si presentarono invece cari quei misteriosi autori di muri parlanti palermitani, sono stati la voce che speravo di incontrare.

Camminando per circa due ore per vicoli e palazzi ci ritrovammo davanti alla Trattoria i Due Mori… era la trattoria di famiglia del Buttitta.

Erano circa le 13:30 e oltre alla stanchezza del viaggio era sopraggiunta la fame … e accettammo volentieri l’invito del giovane compagno.

Davanti alla trattoria dei Due Mori era esposto il Menù del giorno con un disegno al margine alquanto originale: un maialino seduto a tavola con un tovagliolo legato al collo… (il Buttitta ci disse che era stata un’idea del nonno fondatore della Trattoria e che la sua famiglia per rispetto ancora lo esponeva ai clienti incuriositi…). Il menù della trattoria proponeva Pasta con le sarde , Caponata, Pane panelle e crocchè e  Anelletti al forno e come dolce veniva servita la cassata siciliana…

La scelta cadde semplicemente sulla pasta con le sarde e la cassata siciliana… io che non avevo mai mangiato questo piatto ero abbastanza incuriosito sulla bontà del primo piatto proposto.

La madre del Buttitta “Donna Filumena Martorana” dopo averci strapazzati e abbracciati in modo energico e irruente ci lasciò con un buon vino locale per brindare alla nostra amicizia e al sodalizio delle due città Ragusa e Palermo…

Dopo il brindisi venne a trovarci il padre di Totò Buttita, don Alfio che avendo saputo che eravamo di Ragusa e che sconoscevamo l’origine della ricetta della pasta con le sarde, ci erudì dandoci sicuramente una versione tutta sua della vera ricetta originale…

“Dunque, ragazzi, vi racconto come nacque la storica ricetta altamente mediterranea, che cosa racconta la leggenda sul suo “inventore” Onofrio Tirella e come si prepara questo famoso piatto nella tradizione palermitana…

Il procedimento descritto è esattamente quello di mia nonna Paola Cicala, considerata bellissima da ragazza assieme alla gemella Carolina, nata a Ispica proprio dalle vostre parti e trasferita e vissuta a Palermo fino alla prima metà degli anni ’50. Il procedimento nella preparazione della pasta con le sarde venne tramandato a mia mamma Francesca Lucia Licata che riscuoteva grande approvazione tra parenti e clienti. In particolare, la pasta con le sarde, affettuosamente soprannominata da noi a Palermo “pasta c’a munnizza”, è condita anzitutto con il finocchietto selvatico, che in gran parte del mondo non viene neppure raccolto, e le sarde che a Napoli vengono usate come esche per altri pesci, mentre in altre parti, Palermo compresa, vengono talvolta ributtate a mare per varie ragioni. Ma il Buttitta passò immediatamente ad elencarci in modo dettagliato gli ingredienti secondo la ricetta di famiglia…

La base di tutto sono i Bucatini conditi con Sugo di sarde fresche e finocchietto selvatico, serviti con del pangrattato croccante in superficie (Muddica atturrata, in siciliano). La pasta con le sarde preferibilmente può essere preparata da marzo a settembre, durante il periodo delle sarde, ma la tradizione vuole che venga preparata il 19 marzo, Festa di San Giuseppe.

Noi nella Trattoria dei Due Mori la prepariamo in questo modo, l’unica “camurrìa” (come direbbe Montalbano!) è pulire le sarde che devono essere perfettamente diliscate. Per fortuna, molte pescherie le vendono già pulite. Per il resto ci servirà solo un po’ di Pazienza e Dedizione: fare la pasta con le sarde, per noi dei Due Mori, è un Rito! La cosa più importante è la preparazione di un buon Soffritto con cipolla, estratto di pomodoro, uva passa e pinoli. Al soffritto noi aggiungiamo il finocchietto selvatico e lasciamo cuocere tutto insieme. Alla fine, si aggiungono le Sarde e il tutto si mescola con la pasta,preferibilmente Bucatini! Una volta pronta, la pasta con le sarde può essere mangiata al momento o fritta in padella in un secondo momento. Una scelta difficilissima!”
 
Improvvisamente arrivarono due giovani camerieri con una moltitudine di piatti, proprio in direzione del nostro tavolo e fu così che il padre del Buttitta terminò di raccontarci le origini della sua ricetta e ci augurò un buon appetito grande come una casa…

Fu veramente un pranzo luculliano e il palato di tutti noi fu altamente soddisfatto che ancora oggi a distanza di molti lustri ripensando a quel pranzo, rievoco i sapori e gli odori della pasta con le sarde della trattoria dei Due Mori della famiglia Buttitta.

        Salvatore Battaglia

      Presidente Accademia delle Prefi

Com. Stam.

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