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Secondo appuntamento con iSuD e la rubrica per lo Sviluppo Sostenibile

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Quest’oggi sviluppiamo il concetto dei tre pilastri della sostenibilità: ambientale, economica e sociale, ponendo al centro il benessere del genere umano.

Con la guida della professoressa ing. Marzia Traverso, esperta di Sviluppo Sostenibile, tra i fondatori di iSuD, già presentata nel primo articolo della rubrica, abbiamo imparato che la più nota definizione riporta come “uno sviluppo sostenibile è uno sviluppo che garantisce alle generazioni presenti di soddisfare i propri bisogni senza compromettere l’abilità delle future generazioni di soddisfare i propri.” Ed è nella parola bisogni che si esplicano i tre pilastri della sostenibilità, cioè garantire un futuro che consenta uno sviluppo economico e sociale proteggendo l’ambiente.

Ma che vuol dire praticamente attenerci ai tre pilastri della sostenibilità? Quali fattori dobbiamo considerare e misurare affinché questo sia possibile?

Partendo dal pilastro più diffuso, quello ambientale, per garantire uno sviluppo sostenibile dobbiamo considerare parametri e fattori per misurare e valutare le diverse emissioni di sostanze inquinanti in acqua e in aria, così come i rifiuti generati, il consumo dell’energia, l’utilizzo di acqua, la tipologia delle fonti energetica utilizzate. Conoscere la quantità di emissioni generate e le principali attività industriali, causa dell’inquinamento, è indispensabile per definire azioni, strategie e obiettivi per la riduzione delle stesse.

L’impatto ambientale si può individuare in più macro categorie.

Una di queste riguarda impatti globali, come ad esempio i cambiamenti climatici causati dall’aumento di gas serra come l’anidride carbonica, ed il cui aumento di concentrazione in atmosfera causa l’incremento dell’effetto detto appunto “serra” sul nostro pianeta, con i cambiamenti climatici a lui connessi. (L’effetto serra è il risultato della presenza in atmosfera di alcuni gas che rendono l’atmosfera terrestre permeabile ai raggi solari, ma impermeabile alla radiazione infrarossa riemessa dalla superficie del corpo celeste, facendo aumentare la temperatura). L’effetto serra non è un fenomeno dannoso, ha infatti permesso la vita sulla terra. Il problema nasce a causa dell’inquinamento prodotto delle attività industriali e dall’allevamento intensivo che hanno aumentato esponenzialmente le emissioni di metano e altri gas serra nella nostra atmosfera.

Figura 1. Le tre dimensioni della sostenibilità (grafico tradotto da Svilupposostenibile.svg)

Un altro gruppo di impatti ambientali è individuato in quegli impatti che hanno una valenza locale, cioè che dipendono fortemente dalle condizioni locali, come il consumo dell’acqua, in relazione alle risorse disponibili. (Il consumo dell’acqua di per sé non genera impatto, l’acqua è una risorsa rinnovabile, tranne per quelle aree desertiche o in via di desertificazione in cui l’acqua è una risorsa scarsa)

Anche gli impatti sociali sono caratterizzati da una natura fortemente locale. Possono essere sia positivi, creando benessere e migliori condizioni di vita, sia negativi, misurati sempre in riferimento ai cosiddetti “portatori di interesse” o stakeholder in inglese. I portatori di interesse principali sono: i lavoratori, le comunità locali, i cittadini, i consumatori ecc.

Gli impatti sociali dipendono molto dal contesto culturale, lavorativo e sociale in cui vengono misurati. Questo non vuol dire che non abbiamo valori di riferimento, infatti esistono delle convenzioni internazionali come ad esempio la “Dichiarazione dei Diritti Umani”. Approvata ed emanata il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, tale dichiarazione rappresenta uno dei principali punti di partenza per la valutazione degli aspetti sociali.

Ecco di seguito alcuni esempi di impatti sociali. Analizziamo il caso del “gruppo lavoratori” come portatori d’interesse, per cui gli impatti sociali da considerare in questo caso sono tutti quelli legati alle condizioni lavorative in cui le persone operano:

  • salario, se è minimo o adeguato e permette una vita dignitosa
  • ore lavorative, in accordo con le International Labour Organization, non dovrebbe superare le 48 ore settimanali
  • assenza di lavoro minorile o lavori forzati
  • presenza di associazioni per i diritti dei lavoratori
  • presenza di sostegni per la maternità o per le ore di straordinario fatte.

Se si vuol comprendere l’adeguatezza di un salario bisogna considerare le condizioni locali. Il salario dovrà essere adeguato al costo della vita nel luogo in cui si effettua la prestazione di lavoro, per permettere una vita dignitosa del lavoratore.

Altro esempio è il caso in cui sia presente lavoro minorile.

E se questo avviene quale tirocinio o supporto familiare (senza compromettere la possibilità del ragazzo di andare a scuola e costruirsi un suo futuro), o se invece il minore è sottoposto a un lavoro duro e sfibrante che ne danneggia la salute e la possibilità di crescere sano. Anche in questo caso esistono delle convenzioni internazionali conosciute come le ILO convention che rappresentano a livello internazionale il principale riferimento.

Infine abbiamo la dimensione economica che viene sempre considerata e spesso rappresenta come punto di partenza nella pianificazione e nello sviluppo strategico. Purtroppo nessuno strumento strategico, progetto, o azione politica, viene attuata se tale dimensione non garantisce una ricaduta economica positiva.

Ciò che bisogna valutare e comprendere in questo caso è se la ricaduta positiva sarà solo temporanea (cioè crea economia solo a breve termine depauperando le risorse ambientali) e peggiorerà alla fine del percorso le condizioni sociali dei ceti più deboli, oppure se garantirà uno sviluppo a lunga scadenza.

Esistono varie metodologie per la misurazione di quelle che vengono dette esternalità sociali e ambientali, cioè gli impatti ambientale e sociali generati. Questo sarà però argomento di riflessione di un prossimo articolo di questa rubrica.

Di Mauro Faso

 

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