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GLI ULTIMI ANNI DELLA MAFIA TUTTO IN UN’INCHIESTA

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Per molto tempo si è discusso sul potere politico ed economico della mafia, in particolare di Cosa nostra. Un potere le cui origini risalgono agli inizi del XIX secondo. Fu con la seconda guerra mondiale che il suo potere crebbe grazie anche ai rapporti che la stessa criminalità organizzata intratteneva con le forze alleate americane per preparargli l’invasione della Penisola. Sui rapporti tra Cosa nostra e i servizi segreti deviati si è sempre discusso: dal caso Mattei a Piazza Fontana, dal fallito attentato a Giovanni Falcone a Bruno Contrada, assolto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo perché, quando venne accusato di passare informazioni riservate, il reato concorso esterno in associazione per delinquere “non era sufficientemente chiaro”. Sempre sul rapporto mafia–servizi segreti si trovano conferme dal collaboratore di giustizia Sergio Flamia, il quale, da mafioso, ha dichiarato di collaborare dal 2008 con i servizi segreti e di aver ricevuto 150mila euro per le sue informazioni. Informazioni che nel 2008 fecero scattare poi l’operazione “Perseo” che portò all’arresto di un centinaio di appartenenti a Cosa nostra. Negli ultimi anni gli investigatori della Dia e i magistrati della Dda di Palermo hanno assestato diversi colpi a Cosa nostra. In manette tanto la mafia dei cosiddetti palermitani quanto la mafia dei “paesani” o “viddani”. Si parte dall’arresto, avvenuto nel 2013 con l’operazione “Alexander”, di Alessandro D’Ambrogio, il capomafia di Porta Nuova, titolare a Ballarò di un’agenzia di pompe funebri. D’Ambrogio assunse le redini del mandamento di Porta Nuova dopo l’arresto di Tommaso Di Giacomo e di Nunzio Milano, altro boss storico del centro città. Il mandamento di Porta Nuova, che comprende le famiglie mafiose di Borgo Vecchio, Porta Nuova e Palermo Centro, è sempre stato considerato uno dei più potenti di tutto il capoluogo. Al suo interno vi sono i tre mercati della città: Vucciria, Ballarò e Capo. Diverse le accuse nei confronti di D’Ambrogio, tra esse associazione per delinquere di stampo mafioso ed estorsione aggravata. Proprio le estorsioni, seppur diminuite grazie anche al contributo di diverse associazioni, rappresentano tutt’ora uno degli introiti maggiori dell’organizzazione terroristica mafiosa. D’Ambrogio, secondo l’accusa, svolgeva una pressante attività estorsiva; ciononostante una sola denuncia, quella del titolare di una discoteca ad Isola delle Femmine. “Questi sono i miei cani. Sono pronto a scatenarli contro di te” sarebbero le minacce che avrebbe rivolto lo stesso D’Ambrogio al titolare della discoteca, l’unico ad essersi rivolto alle forze dell’ordine. Tutti gli altri? Hanno preferito pagare il pizzo a Cosa nostra. D’Ambrogio è poi stato condannato alla pena di vent’anni di reclusione dal Tribunale di Palermo. Con l’arresto di D’Ambrogio si verifica uno scontro all’interno del mandamento di Porta Nuova su chi doveva assumerne la guida. Nel marzo del 2014 la mafia spara ed uccide, in via Eugenio l’Emiro alla Zisa, Giuseppe Di Giacomo, già arrestato nel 2008 nell’operazione “Perseo” ma assolto nel 2011. Diverse furono le ipotesi su quell’omicidio. Secondo gli inquirenti sarebbe stato deciso dalla cupola perché Di Giacomo voleva conquistare il vertice del mandamento di Porta Nuova. Successivamente il collaboratore di giustizia Vito Galatolo, boss dell’Acquasanta, parlò dell’omicidio dichiarando che “Giuseppe Di Giacomo aveva offeso Tommaso Lo Presti che voleva impadronirsi del mandamento e per questo fu ucciso”. Nell’aprile del 2014 l’operazione “Iago” condotta dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo e dai carabinieri del Nucleo investigativo del Comando provinciale di Palermo, che decapita il vertice del clan di Porta Nuova. Otto i provvedimenti restrittivi della libertà personale nei confronti dei presunti boss del mandamento. L’operazione ha impedito lo scoppio di una vera e propria guerra di mafia all’interno delle zone soggette al clan. Tra gli arrestati anche Nunzio Milano e Tommaso Lo Presti. Tra le accuse a loro carico la più grave: di associazione per delinquere di stampo mafioso. Proprio le intercettazioni rivelano il motivo per cui Giuseppe Di Giacomo fu ucciso. Dopo l’arresto di D’Ambrogio fu investito del ruolo di reggente pro tempore del mandamento al posto del fratello Giovanni, già condannato all’ergastolo, pena stabilita per fermare la sua ascesa non autorizzata all’interno della famiglia mafiosa. Proprio dalle intercettazioni all’interno del carcere emergerebbe il disappunto su Di Giacomo: «Ma poi c’e’ un’altra cosa che fuori non la sa nessuno … questa te la dico a te… e a un certo punto dovrà venire fuori … a te ti abbiamo fatto noi altri… a lui chi l’ha fatto… il Nicchi? Echi l’ha autorizzato? E questi sono tutti abusivi, sono… ricordatelo!». Sempre nel 2014 un altro colpo a Cosa nostra con l’operazione “Apocalisse” che svetta la cime dei mandamenti di Tommaso Natale – San Lorenzo e Resuttana, quello che tutt’ora rappresenterebbe il regno dei Lo Piccolo. Novantuno furono gli arresti in quell’occasione. Tra le varie accuse quelle di associazione per delinquere di stampo mafioso, estorsione, danneggiamento aggravato. Ancora una volta sono proprio le estorsioni ai commercianti a rappresentare uno dei principali business mafiosi. Non sfuggiva nessuno nel mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo e Resuttana. Ognuno pagava in proporzione al proprio giro d’affari. L’importo variava dai circa duecento euro agli oltre mille euro mensili. Nell’operazione anche il sequestro di beni mobili e immobili dal valore di svariati milioni di euro. Dalle intercettazioni ottenute nell’operazione “Apocalisse” emerge il ruolo di Girolamo Biondino, fratello di Salvatore Biondino, l’autista di Totò Riina. Al di sotto di lui, secondo le indagini, vi erano Giuseppe Fricano, ritenuto dagli inquirenti il reggente di Resuttana, Silvio Guerrera, della famiglia di Cardillo, e Tommaso Contino, reggente della famiglia di Partanna Mondello. La famiglia mafiosa di Pallavicino-Zen sarebbe invece diretta da Sandro Diele e Onofrio Terracchio. Nell’ottobre del 2014 l’operazione “Vai e vieni”, coordinata dalla Direzione distrettuale di Palermo e condotta dalla polizia di Stato, esegue otto arresti per traffico di sostanze stupefacenti. Stavolta il colpo è inferto alla famiglia mafiosa della Guadagna. Quattro le persone arrestate. più il sequestro, ad opera degli agenti della polizia, di oltre due quintali di sostanze stupefacenti, per un valore di oltre cinque milioni di euro. Anche nel 2015 non si placa l’offensiva delle forze dell’ordine contro la criminalità organizzata. A febbraio l’arresto di trenta persone affiliate a Cosa nostra; tra le accuse quelle di associazione per delinquere di stampo mafioso, rapina ed estorsione. Tra gli arrestati anche un nome altisonante: il consigliere comunale Giuseppe Faraone. Nei suoi confronti l’accusa di tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso perché avrebbe chiesto denaro a un imprenditore per conto di Francesco D’Alessandro, boss della famiglia mafiosa di San Lorenzo. Nel mirino dei mafiosi anche un’impresa che lavorava per la costruzione di un immobile a Palermo, tra via Maqueda e discesa dei Giovenchi. Solamente quell’estorsione avrebbe reso alle casse della famiglia mafiosa ben 30mila euro. Ieri l’operazione “Apocalisse mafia”, coordinata dalla Dda di Palermo nei confronti del mandamento di San Giuseppe Jato. Quattro gli arresti eseguiti dai militari del Comando di Monreale, grazie anche all’ausilio di un elicottero. In manette Antonio Cusumano, residente a Camporeale, Raimondo Liotta di Camporeale, Giuseppe Tarantino di Camporeale e Vincenzo Carlo Lombardo di Montelepre. Tra i vari reati contestati l’estorsione aggravata nei confronti di un’impresa edile che avrebbe reso alle casse di Cosa Nostra ben 15 mila euro. Tra le scoperte degli inquirenti anche il motivo dell’omicidio di Giuseppe Billitteri, il mafioso di Monreale fatto sparire nel marzo del 2012 per contrasti con i nuovi vertici del mandamento. Uno degli arrestati ebbe il compito di occultarne il cadavere.

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OPERAZIONE-ALEXANDER
Mafia, quante volte abbiamo sentito questo termine? Quante volte questa parola ci ha fatto paura e quante ribrezzo? “La mafia fa schifo” diceva un noto slogan della Regione Siciliana. Ma cos’è oggi la mafia? Molti sono abituati ad associare il termine a uomini con la coppola, che tengono la lupara in una mano e la zappa nell’altra, al classico “viddano”, l’uomo invisibile che nascosto nelle periferie cittadine gestisce centinaia di “picciotti” e comanda omicidi e grandi attentati. Quella mafia che, nella cantina di un casolare eseguiva i patti di sangue e le esecuzioni d’onore. Quella mafia che si rifugiava nelle chiese, che scioglieva nell’acido anche i bambini. Quando la mafia faceva più paura, perché spargeva sangue ovunque, nessuno – o quasi – aveva il coraggio di denunciare, “stai zitto, che poi fai la fine del giudice. Ti ammazzano, non parlare.” Insomma vigeva il classico “nenti sacciu e nenti vitti”. Questi omuncoli di periferia non solo reggevano tra le mani imbrattate di terra un impero fatto di soldi sporchi e sangue, ma avevano dalla loro la paura dei cittadini, che pur non sapendolo si facevano complici di quel grande gioco al massacro. Tutto pare essere cambiato dal 1993, dopo l’arresto di Totò Riina, quando non si è più sentito parlare di stragi avvenute per mano della mafia, e questo forse ha indotto qualche cittadino un po’ più distratto a pensare che la mafia non esista più. Se nessun magistrato muore, la mafia non esiste. Se nessuna autostrada salta in aria, la mafia non esiste. Se non si trovano più cadaveri trivellati all’interno di un’auto, la mafia non esiste. Ma purtroppo non è così, i mafiosi esistono ancora, semplicemente si sono ripuliti e vanno in giro con i vip. Oggi la mafia si veste in giacca e cravatta, si laurea, gestisce ditte e grandi imprese, si siede ai tavoli istituzionali. Oggi la mafia non si nasconde tra le campagne, si mimetizza nelle città. È vero, le grandi stragi non esistono più, e quando un uomo muore ammazzato non fa più nemmeno tanto rumore, ma la mafia è infima e si è insinuata esattamente nella quotidianità di ognuno di noi. Basta entrare in un qualsiasi bar, avete presente quelle macchinette mangiasoldi del videopoker? Quelle in cui milioni di italiani si ritrovano ogni giorno a versare centinaia, se non migliaia di euro? Fino a qualche tempo fa erano tutte gestite dal boss Vincenzo Graziano, accusato di aver custodito i cento chili di tritolo provenienti dalla Calabria per l’attentato a Nino Di Matteo. Non è più solo il pizzo a riempire le tasche della malavita, non più solo il traffico di droga. Il mafioso si è evoluto, prende una laurea in economia e impara a gestire le grandi griffe; come la catena di “Bagagli”, che sarebbe stata interamente gestita dal clan Nicchi. Il mafioso di oggi apre una società e la richiude in tempi brevissimi, in modo da sfuggire ai controlli burocratici che, tanto, ci mettono anni ad arrivare. Siamo sicuri, quindi, che la mafia sia solo quella del “viddano” stragista? La mafia oggi esiste e tutti ne siamo complici.

Stefania Vacca

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