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Libri: Parla il numero uno di cosa nostra – Le confidenze del boss a Serge Ferrand

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È in uscita “ Parla il numero uno di cosa nostra ”, il primo libro del giornalista francese nella terra di mafia

Un occhio, giallo, nell’oscurità, nera. Conosciamo soltanto questo del “lupo”, l’innominato, lo sconosciuto. È lui che impera nella copertina di “Parla il numero uno di cosa nostra”, presto nelle librerie per Bonfirraro editore.

All’inizio di questa avventura, Serge Ferrand, l’autore, è un giovane cronista francese ed è già uomo testardo, forse un po’ incosciente, e coltiva un sogno. Per inseguirlo rinuncia a una facile carriera giornalistica in patria: inviato a Palermo nel 1982 per il settimanale Le Figaro Magazine per fare luce sull’omicidio del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa, vi rimane, in Sicilia, come un feroce “insider”, perché non è sua intenzione accontentarsi di una storia qualunque. È alla ricerca di uno scoop destinato a fare scalpore. E si mette a rincorrere il male del male, la mafia e il suo boss, fino a scovare la causa prima. Il Lupo.

Comincia così la storia di Ferrand D’Ingraodo, studioso dei poteri criminali – uno di queifree lance che aggrediscono la notizia dal di dentro – che raccoglie, come un segugio, le confidenze del “numero uno di cosa nostra”.

Nasce così un saggio storico, un saggio politico, un saggio di psicologia criminale sotto forma di intervista alla soda caustica, in un faccia a faccia che turba e confonde. Si parla della mafia, di quella vera, in un plot narrativo che lascia senza fiato: un’indagine approfondita con tanto di nomi, cognomi e soprannomi, di vittime e di carnefici, in un colloquio-fiume, fatto di rivelazioni sconcertanti e assurde, che l’autore dichiara di essere riuscito a ottenere dopo anni di lavoro, di pedinamenti, di appostamenti, e che racchiude, in 296 pagine, il male raccontato dal punto di vista del male. «Nella letteratura di mafia poche volte qualcuno si era espresso in termini così duri e abietti, fino a provare ribrezzo – sottolinea l’editore –  Questo libro sin dalla prima lettura è stato un pugno allo stomaco e poco importa la sua irriverenza se pensiamo a quanto sia realistico o verosimile, nella forma e nei contenuti. Che ci piaccia o no, questa è la mafia, o almeno lo è stata in un determinato periodo: conoscerla, penetrare nelle sue fibre è il primo passo per indietreggiare davanti al suo potere. La pubblicazione risponde a quell’imperativo categorico del giudice Paolo Borsellino, che non si stancava mai di ripetere “Parlate di mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”».

Il tratto saliente della scrittura di Ferrand è la rapidità. Omicidi, rapine, agguati, tradimenti, cospirazioni si susseguono come un vortice. Vengono fuori parole come colpi di lupara per uno stile nuovo nella saggistica italiana, abituata troppo spesso a prose ben più comuni.

Il libro sembra un bestiario e lo è, perché è un bestiale e desolato mosaico di vita e di morte.

Com. Stam.

KKKKK
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