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Giovanna Nobile Paziente presenta, ad Alcamo, “BALLATA PER JOSY”, un pirandelliano viaggio nella mente

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Giovanna Nobile Paziente presenta, ad Alcamo, “BALLATA PER JOSY”, un pirandelliano viaggio nella mente

Una storia cruente e d’amore ambientata tra gli Stati Uniti d’America e una campagna siciliana selvaggia, tra sconfinati campi, antichi e misteriosi ruderi

di Antonio Fundarò

È arrivato in libreria, solo qualche giorno fa, quasi imprevisto, edito per i tipi della casa editrice Portaparole, la “Ballata per Josy”, il terzo romanzo della scrittrice di origine siciliana, ma residente in Toscana, Giovanna Nobile Paziente , destinata ad inserirsi nel solco di quella letteratura impegnata che vede forte il confronto tra le anime dissidenti d’una autrice tanto brava quanto capace di tracciare il sentiero lungo il quale costruire, meglio ancora, ricostruire una storia, vera o presunta che sia, tra il sé narrante e i suoi protagonisti che non abbandonano mai il viaggio simbolico in quella che è la rimembranza iconica, fotografica, mimica e gestuale, d’una Sicilia che muta, solo nell’apparente scandirsi del tempo, ma che finisce con il riviversi e il rivivere nella sua strana immutabilità.

Il romanzo, presentato ad Alcamo, al Collegio dei Gesuiti, dopo la prestigiosa Feltrinelli di Palermo, con una brillante ed emozionante relazione del prof. Fabio Mirabella, segue i due personaggi nell’arco di una vita. Meglio due vite, sempre e comunque, eternamente intrecciate anche quando ad intrecciarsi non può che rimanere il ricordo, le cose non fatte, le parole non dette, i timori mai sopiti del tutto, in una Sicilia capace di nascondersi, anche solo sotto uno specchio d’acqua che se da un lato ha in sé il frutto della vittoria, o della sua presunta tale, sui mai venuti meno interessi mafiosi sull’acqua, dall’altro ivi nasconde proprio le drammatiche incongruenze d’una mafia nata per aggiustare e finita per il distruggere il futuro, viepiù struggente, di questa terra dove non resta che narrare lo scirocco forte che soffia e livella, nasconde, sotterra mentre Liborio, incapace a ribellarsi, lui che per due volte ripetute è stato vittima silente di questa arroganza, continua a guardare all’orizzonte, a cercare l’uccello che non tornerà più, sconfitto anch’esso (solo dalla vita, non nei ricordi) e a immaginare « bianche farfalle a seguire la corrente che lo scirocco in arrivo già spingeva verso l’interno impedendo sciabordio di risacca».

I due protagonisti, Liborio e Josy, sono persone ammaccate dalla loro storia struggente, molto sole e lasciati indifesi dal tempo che, per nessuno dei due, ha mai cancellato il passato, nonostante «il ticchettio cadenzato del pendolo», e che affrontano un cammino di ricostruzione, l’uno e l’altro abbandonato al proprio sogno struggente oltre quella grada in ferro capace di far immaginare spazi e tempi e dar corpo ai desideri più nascosti e, chissà, più belli davvero.

Persone incontratesi per caso e solo per caso trovatesi.

Scrive Fëdor Michajlovič Dostoevskij:

“Capitano a volte incontri con persone a noi assolutamente estranee, per le quali proviamo interesse fin dal primo sguardo, all’improvviso, in maniera inaspettata, prima che una sola parola venga pronunciata”.

E il romanzo della Nobile racconta proprio d’un legame forte fra questi due uomini, nato per caso, cresciuto grazie all’interesse nato dopo il primo sguardo, fatto anche, però, di raccapriccianti, talvolta dolorosissimi, legami di sudditanza, d’incapacità a essere, ad accettarsi, a rappresentarsi a sé e al mondo, agli altri.
Personaggi, ai quali la Nobile è profondamente affezionata, l’uno e l’altro narrano questo mondo, con le sue paure e i suoi drammi, che nella vita si separano, con ferite dolorosissime determinatesi a causa di sogni infranti e rumorosi fragori di sconfitte, ma che, nonostante tutto ciò, nonostante l’apparente desiderio di dimenticarsi e di allontanarsi, restano profondamente legati, ognuno a suo modo e ognuno per i propri fini e per i propri scopi. Personaggi che lottano, prima vicini (ma entrambi lontani dalla Sicilia) sull’orlo di un baratro e, poi, da lontano e lontani, l’uno dall’altro. Una lotta, specie fuori da quella cella, talvolta, dolorosa, come quella di Liborio, triste oltre ogni verosimile viaggio dell’immaginazione, ma lenita dalla capacità di perdersi «dietro ai ricordi» perché, lontano dalla Sicilia che l’aveva tradito, definitivamente segnato per la vita, «Liborio non si era dimenticato di Marietta». D’altronde il legame familiare, già forte in questa terra, lo si consolida quando si è costretti ad allontanarsi (nel caso di specie repentinamente) dai profumi, dai sapori, dai colori della Sicilia che è, per Liborio, ma anche per Josy la terra «dove non c’è la neve, che in inverno il vento sa di finocchietto selvatico e la primavera è fiori di mandorli. Che in estate il mare è di cobalto e la sera cala l’umore delle stelle a dare il sereno». Figure che Giovanna Nobile riesce a incastonare nel racconto, come un brillante in quell’anello d’oro che il fidanzato dona alla sua futura sposa che ancora la fa da padrone nelle feste di fidanzamento. Brillanti disseminati sul canovaccio letterario di questo racconto senza tempo e fuori dal tempo che nella scrittrice non sono assolutamente sinonimi. D’altronde alla Nobile è assai noto, proprio perché la Sicilia la tiene nel sangue, proprio perché la sente dentro più di quanto, talvolta, la Sicilia stessa sente e avverte la nostra presenza da innamorati, quanto parlare d’amore, in Sicilia, può significare invadere territori che appartengono all’onore (bellissima la rappresentazione che ne dà sfruttando il gabellotto di campagna che a quell’amore, non credo deliberatamente unilaterale, mette una pietra tombale), alla sacralità della famiglia (questo ruolo indefinito, d’una silenziosa accondiscendenza sofferente e preoccupata, della sorella), al bene più prezioso che si custodisce in sé, spesso l’unico patrimonio su cui contare. Proprio uno strano amore questo dell’ “Ultima ballata per Josy” (beffardo incosciente e incontinente) definibile, visto che abbiamo Pirandello come custode della nostra rappresentazione più genuina, “amore senza amore”.

Scrive Eugenio Montale, il Nobel che il 7 luglio del 1945, su “Il Mondo”, pubblica un articolo che aveva per titolo “Sicilia”:

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede. Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue”.

Quanto simili siano gli intrecci in questa realtà che rappresenta realtà che non ci sono e viaggi forse troppo brevi dove le coincidenze diventano trappole e le scale, purtroppo, si scendono solamente.
È, quello di Giovanna Nobile Paziente, lo smascheramento pirandelliano della relatività della condizione umana. È in questa dimensione che nel romanzo “Ballata per Josy” lo spettacolo non è subito passivamente ma serve come pretesto per dar voce ai “fantasmi” che popolano la mente dell’autrice.

D’altronde anche Pirandello nella prefazione ai “Sei personaggi in cerca d’autore” chiarirà di come la fantasia prenda possesso della sua mente per presentargli personaggi che vogliono vivere, senza che lui li cerchi. E Liborio e Josy vivono, oltre quel loro tempo, nella nostra Sicilia immutabile. Vivono nella mente.
«Era tutto nella sua mente. «Ma ciò che la mente pensa deve essere da qualche parte, esiste», gli aveva detto il suo Josy quella volta mentre le chiatte scivolavano sulle acque dell’Hudson, «e tu devi essere bravo a cogliere ogni piccola sfumatura nelle cose, se fai così potrai sentire anche l’ultimo battito d’ali dell’anima che s’invola».
Sinceramente grazie a Giovanna Nobile Paziente, per averci regalato, con una scrittura incisiva e coinvolgente, capace di appassionare, servendosi d’una avventurosa storia d’amore, non corrisposta a tratti ma non sempre, per la verità, uno spaccato della nostra Sicilia, della nostra campagna, del nostro modo di essere e di fare, di leggere le cose e di rassegnarci quando preferiamo continuare a vivere la pace bucolica di queste magnifiche e verdi, a tratti gialle, campagne siciliane. Rassegnazione ma non sconfitta. In realtà la speranza di Liborio, mai venuta meno, è la rappresentazione più genuina del siciliano che guarda e spera in un futuro diverso, migliore, più sincero e giusto.

«Ma come era successo l’altra volta, Liborio era certo che, allontanandosi l’effetto del sogno, egli sarebbe ritornato a spiare l’invaso e a «vedere» di nuovo le Grandi Ali perché soltanto così la sua vita avrebbe avuto un senso. E così, ancora e ancora, l’avrebbe quasi sentito quei battiti che si confondevano con l’esile sciabordio di risacca del lago». (Antonio Fundarò)

Com. Stam. Ric. Pubbl.

 

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