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Industria calzaturiera italiana: nei primi nove mesi del 2021 crescono fatturato ed export

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I lunghi mesi di crisi eccezionale inoltre cominciano a presentare il conto: -82 aziende calzaturiere e -940 addetti da gennaio a settembre tra industria e artigianato, mentre gli strumenti di integrazione salariale nella filiera pelle, pur in calo del -8,7% sul 2020, restano su livelli straordinariamente elevati (60,8 milioni di ore autorizzate nei primi 10 mesi, oltre 9 volte più del 2019).

Milano  Il comparto calzaturiero italiano resiste alla crisi e nei primi nove mesi del 2021 segna – per il campione di Associati intervistati – un recupero a doppia cifra del fatturato rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (+19,5%). È la fotografia scattata dal Centro Studi di Confindustria Moda per Assocalzaturifici che stima anche, secondo le prime proiezioni, una chiusura del fatturato a +16,2% nei dodici mesi ma con un gap compreso tra il -10 e il -15% rispetto ai livelli 2019 antecedenti l’emergenza sanitaria.

Se la maggioranza delle imprese ha segnalato almeno un avvio di recupero, registrando un incremento sui livelli fortemente penalizzanti dei primi 9 mesi 2020, il vigore della ripresa non è stato uniforme e, soprattutto, in molti casi non è stato sufficiente a ripianare le perdite subìte l’anno precedente. Solo 1/3 delle aziende ha infatti dichiarato di aver superato, o almeno eguagliato, i livelli di fatturato di gennaio-settembre 2019 pre-Covid.

Bene l’export settoriale (+17,6% in valore nel complesso e +16,3% in quantità): con la sola eccezione di Regno Unito, Giappone e Corea del Sud (che registra un primo rallentamento dopo nove anni di crescita ininterrotta), tutte le prime 20 destinazioni mostrano un trend positivo sul 2020 (quasi sempre con recuperi a due cifre, almeno in valore).

Dopo lo shock del 2020, quest’anno il settore è ripartito – spiega il Presidente di Assocalzaturifici, Siro Badon – nonostante un terzo trimestre fiacco, con domanda interna ed estera di poco sopra i livelli dello scorso anno dopo il forte rimbalzo nella frazione precedente che si raffrontava con l’attività ridotta del lockdown. Sebbene registriamo recuperi a due cifre nelle principali variabili congiunturali, dobbiamo ancora colmare il divario con la situazione pre-Covid.  I risultati migliori vengono dalle esportazioni, che si attestano, trainate dalle griffe internazionali del lusso, a ridosso dei livelli 2019 pre-pandemia (-2,7%, seppur con un -7% in volume). Buoni gli scambi con Francia (+25% in valore sui primi 9 mesi 2020) e Svizzera (+19%), tradizionalmente legate al terzismo, USA (+38%) e Cina (+50%, che ha già abbondantemente superato, +26%, i livelli 2019).  Sia i mercati dell’Unione Europea che quelli extra-UE evidenziano aumenti a doppia cifra in valore sul 2020 (+19% e +16,3% rispettivamente); ma solo i primi risultano aver appianato il divario con due anni addietroA fronte di un consolidamento del saldo commerciale (+24,6%), si rileva una dinamica non particolarmente esaltante nei consumi interni (+10,5% in spesa gli acquisti delle famiglie, ancora al di sotto di un 15% rispetto a due anni addietro), a cui si aggiunge tuttora una forte sofferenza dello shopping dei turisti stranieri”.

Per quanto riguarda gli acquisti delle famiglie, la disaggregazione per segmento merceologico evidenzia nei primi 9 mesi incrementi attorno al +6% in spesa per le calzature classiche per uomo e del +10% per quelle per donna (entrambe le voci restano però al di sotto di oltre il -20% rispetto al pre-crisi); +7,6% le scarpe da bambino; +14,2% per le sportive e le sneakers (con un gap del -7% sul 2019); aumento contenuto per la pantofoleria (+4,2%), la tipologia più utilizzata durante il lungo lockdown e conseguentemente la più vicina ora alla situazione pre-Covid (-2,8%). 

L’analisi condotta evidenzia come alcuni fattori possano ostacolare la ripresa e il ritorno alla normalità, tra cui – oltre ad una nuova ondata di contagi – gli aumenti nei prezzi delle materie prime e dell’energia.

Com. Stam.

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