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Todaro, Cernigliaro, Alaimo e Lo Monaco parlano

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Un fulmine a ciel sereno che ha lasciato sgomenti non pochi. Soprattutto coloro i quali conoscono veramente il significato della parola legalità, sapendo molto bene che, per renderla piena di senso, va associata a una linea di comportamento, a uno stile di vita, che non può indurre a tentazioni di sorta. Neanche quando a motivare le nostre azioni è il bisogno. Comprensibile, ma non accettabile. Così, in una giornata quasi primaverile, che spinge molti a postare foto del mare limpido e cristallino di Mondello, altre nubi hanno fatto capolino nel cielo del capoluogo siciliano, portate da chi, considerato tra i paladini della legalità, ha in un battibaleno distrutto gran parte del lavoro fatto in questa direzione sino a oggi. Roberto Helg è stato anche colui il quale ha consegnato i riconoscimenti di diverse edizioni del premio dedicato a Libero Grassi, l’imprenditore anti-racket assassinato da Cosa Nostra il 29 agosto del 1991, affermando in tali occasioni: “Oggi le associazioni sono profondamente cambiate, c’è un sistema che ha fatto squadra e che funziona. Tutto ciò mi fa sperare che le prossime generazioni possano vedere una Sicilia diversa”.

«Proprio per questo rimango attonito – afferma Salvatore Cernigliaro, presidente della cooperativa “Solidaria”, promotrice del premio in questione -. Mi sento in un certo senso preso in giro perché non so più con chi ho avuto a che fare. Il problema è serio perché legato a un sistema che non guarda alla necessità di ricambio, di cedere il passo: in politica, come anche nelle istituzioni e nel mondo dell’associazionismo. Fare antimafia non è più visto come qualcosa che ti può mettere a rischio, ma solo un modo per fare carriera. In questa vicenda c’è qualcosa di folle. Parliamo di una persona che è andata a fare qualcosa contro cui sino a ieri ha combattuto. Dimostra, quindi, che non ci si può fidare di nessuno e che non dobbiamo dare tutto per scontato. Forse dobbiamo azzerare tutto e ripartire, non so. Io, però, voglio trovare il lato positivo di questa vicenda e dire grazie alle forze ordine e alla magistratura, come anche a chi, come questo coraggioso imprenditore, ha rotto il silenzio. E’, infine, necessario ricordarci che, come diceva Luigi Pirandello, “è più facile essere eroi che galantuomini”. La gente deve capire che la patente di legalità si deve dimostrare ogni giorno, non solo in una o poche altre occasioni. E’ un vero e serio impegno, che chiama in causa tutti».

Chi, poi, chiede maggiore attenzione e riflessione è Giuseppe Todaro, con il quale Helg ha recentemente avuto uno scontro, determinato dalle affermazioni dell’imprenditore per il quale “il 90 per cento dei commercianti del centro cittadino paga il pizzo”. Non ha certo scoperto l’acqua calda, anche perché ce lo dicono numerose indagini e ricerche che la situazione è certamente cambiata, ma non di molto. Per il presidente della Camera di Commercio, invece, quasi delle illazioni, da smentire categoricamente, rifiutandosi di credere le forze dell’ordine diano notizie così riservate”.

«Non mi piace attaccare nessuno per mia natura – spiega Todaro, vicepresidente di “Libero Futuro” e delegato per la legalità di Confindustria – credendo che ognuno abbia le sue responsabilità. Davanti a un fatto così acclamato e presupponendo che rimanga confermato, però, mi chiedo allora di chi ci si possa fidare. La legalità è un termine abusato da molti, quindi mi posso aspettare di tutto, ma non una notizia del genere. Ma se la cautela non l’abbiamo noi, chi la deve avere? Quello che dico in questo momento è che bisogna massima trasparenza, così come massima fiducia nella magistratura, tanto vituperata, che anche questa volta sta dimostrando di sapere applicare regole chiare, facendo giustizia».

«E’ un fatto che mi lascia sgomenta – tuona Emanuela Alaimo, presidente del “Coordinamento delle vittime dell’usura, dell’estorsione e della mafia”, associazione promossa dal Centro studi “Pio La Torre” – . A questo punto dico che non ci si può più accompagnare con nessuno. Si dovrebbe prendere il bastone, appoggiarsi e camminare da soli. Ho sempre parlato della Camera di Commercio e del suo presidente nei termini più alti, quasi con orgoglio, invece ora non so più cosa dire. E, dunque, il caso di cominciare a riflettere sulle tante organizzazioni antiracket e antimafia che inaugurano sedi e sedine, conquistano poltrone e ruoli di prestigio, e che molto probabilmente lo fanno solo per un fine: quello personale. Triste storia».

Si, molto triste e preoccupante per le conseguenze che potrebbe avere. Anche solo dal punto di vista della fiducia nei confronti di chi lavora bene e seriamente. Non pochi.

«E’ necessario ripensare la legalità – sostiene in conclusione Vito Lo Monaco, presidente del Centro studi “Pio La Torre” – perché non ci può essere chi predica antimafia e poi si comporta così. E’ una questione di cultura, ma il rischio è che questi episodi infanghino chi opera nella direzione giusta».

No, non si può veramente sentire da nessuno, soprattutto da chi ricopre ruoli di un certo tipo, che certe azioni siano la conseguenza di un bisogno perché allora chiunque sarebbe giustificato a comportarsi allo stesso modo, anche solo per pagare una bolletta. Piani e livelli diversi, ma é lo stesso. No, non si può sentire, specialmente quando ad agire così è il Presidente della Camera di commercio palermitana, la cui camerale da lui guidata, nel gennaio 2014, ha adottato il piano triennale di prevenzione della corruzione. Con l’obiettivo di “promuovere la cultura della legalità come condizione necessaria per la crescita economica, in particolare, nel campo della lotta al racket delle estorsioni e dell’usura”.

Gilda Sciortino

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