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Equilibrio di bilancio e libertà sindacale: ancora un altro intervento della Consulta

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Negli ultimi anni si è assistito in modo consistente alla negazione da parte del legislatore di specifici diritti costituzionali in materia di lavoro e previdenza che hanno portato a continui interventi della Corte Costituzionale, basti pensare alla recente pronuncia n. 70/2015 che, in relazione alla contingente situazione finanziaria, ha bocciato la norma che per il 2012 e 2013 aveva stabilito il blocco della perequazione sui trattamenti pensionistici e non ultimo il più recente intervento pronunciato con la sentenza n. 178/2015 che ha riconosciuto l’illegittimità costituzionale del blocco dei rinnovi contrattuali nel pubblico impiego.
In merito a tale ultima pronuncia il Giudice delle leggi ha evidenziato che al primo comma dell’art. 81 Cost. lo Stato, “nell’ottica di assicurare un equilibrio tra entrate e spese del proprio bilancio, deve tenere conto delle fasi avverse e delle fasi favorevoli del ciclo economico”.
Tale disposto quindi ha consentito allo Stato in una fase economica sfavorevole, quale quella attuale, di contenere le proprie spese limitando le uscite e ciò anche nel caso di riconoscimenti economici già stabiliti contrattualmente.
Proprio la congiuntura economica con riferimento all’anno 2010, con i D.L. n. 78/2010 e n. 98/2011 che enunciavano già i principi di contenimento e razionalizzazione della spesa pubblica che conducevano al blocco degli automatismi contrattuali, principi questi ripresi nel DPR 122/2013 e poi trasfusi nella L. n. 147/2013 (L. Stabilità 2014) prorogati ulteriormente con la Legge di stabilità del 2015, ha fortemente inciso sulle aspettative di progressione economica dei dipendenti pubblici (blocco dei rinnovi).
La sentenza ha, infatti, messo in evidenza che può operarsi il blocco dei rinnovi contrattuali nel caso di “situazioni eccezionali ed assolutamente transitorie” ma che tale sospensione è possibile solo se la compressione del diritto costituzionale al rinnovo non diventi stabile o assuma una connotazione non più eccezionale o comunque transitoria.
È accaduto che la legge di stabilità 2015 ha reso stabile la protrazione del blocco prorogato già sin dall’anno 2010 sicché la Corte lo ha dichiarato illegittimo per la evidente compressione di altro diritto costituzionale, nello specifico quello che individua la libertà sindacale previsto dall’art. 39 comma primo.
Proprio la dimensione non più eccezionale ma “strutturale” del blocco dei rinnovi ha impedito quelle dinamiche contrattuali tra Stato e i propri dipendenti che passano attraverso la dialettica con le rappresentanze sindacali e l’aver regolamentato negli anni 2013/2014 la sola parte normativa ha reso certamente non pienamente esaustiva la contrattazione negoziale non avendo riconosciuto così quell’incremento economico soffocato dalle esigenze di bilancio.
La sentenza ha inoltre evidenziato nella sua motivazione come la libertà sindacale tutelata nella sua duplice valenza individuale e collettiva trovi il suo necessario completamento nell’autonomia negoziale.
la Corte pone così in risalto quel nesso funzionale che lega il diritto allo esercizio collettivo, quale è la contrattazione, con la libertà sindacale.
Proprio questo rapporto di compenetrazione tra libertà sindacale e contrattazione collettiva, che sta a base della pronuncia, viene evidenziato anche da fonti sovrannazionali quale la Convenzione OIL n. 87 del 1948 – n. 98 del 1949 nonché dalla giurisprudenza della Corte europea che ha interpretato estensivamente l’art. 11 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo (CEDU) e delle libertà fondamentali, oltre ad essere riconosciuto dall’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea che consacra il diritto di negoziare e di concludere contratti collettivi.
Conclude pertanto la Corte Costituzionale che: “la reiterata interruzione della contrattazione collettiva che assume un carattere stabile e strutturale va considerata illegittima giacché proprio con la sospensione della contrattazione si creerebbe un’alterazione della dinamica negoziale in un settore in cui il contratto collettivo è un’imprescindibile fonte che disciplina il trattamento economico in tutte le sue componenti fondamentali e accessorie”.
La sentenza del giudice delle leggi ha così esortato il legislatore a dare nuovo impulso all’ordinaria dialettica contrattuale ma a partire dall’anno 2015 lasciando però impregiudicato il periodo trascorso (2010-2014) in quanto quest’ ultimo connesso alla contingente situazione economica del paese.
La Corte con la sua pronuncia ha così garantito il ripristino di un diritto violato modulandolo però sull’interesse collettivo delle esigenze di bilancio.
C’è da chiedersi se la stessa Corte non ritenga ancora di intervenire magari garantendo altri diritti quesiti dei pubblici dipendenti compressi dal sempre più incisivo principio del pareggio di bilancio.

Avv. Giuseppe Del Noce
AIGA – Sez. Palermo

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