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Il Celeste Impero nel Continente nero

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L’Africa è sulla buona strada per diventare una colonia cinese. Il Celeste Impero investe da decenni nel continente, fin dal lontano 1976. I suoi investimenti erano rimasti relativamente modesti per decenni, coerentemente a quella che era la linea politica della Cina: non interferire con le dinamiche interne di un altro Paese e difendere i propri interessi da tutti gli altri. Ma a partire dagli ultimi 20 anni la situazione sembra drasticamente cambiata.

La Cina e il “neo-colonialismo”

Lo scorso anno il Presidente del Parlamento europeo Tajani, durante un’intervista alla tesata giornalistica tedesca “Die Welt”, aveva fatto dure dichiarazioni riguardo la politica estera cinese in Africa, sostenendo che la Cina stesse operando una sorta di politica di neo-colonialismo. Essa sarebbe più interessata ad ottenere le materie prime del continente che a migliorare le condizioni dei suoi abitanti.

Dura era stata la replica del ministro degli esteri cinese, affermando che i piani di investimento della Repubblica Popolare avevano il solo scopo di aiutare l’Africa a risollevarsi dalle sue tragiche condizioni di arretratezza. Dopotutto, ha chiosato, non è la Cina ad avere sulla coscienza la “macchia” del colonialismo.

La lungimiranza di Mao

Non è dato sapere quanto la Cina abbia già investito nel continente, in quanto il governo cinese non ha mai reso note al pubblico queste informazioni in maniera organica. Una stima approssimativa, tuttavia, sembra collocare la cifra intorno ai 200 miliardi di dollari.  Da ormai più di dieci anni la Cina è diventato il partner economico privilegiato del continente, seguita con ampio distacco dall’India.

Tutto cominciò quando, nel 1976, la Cina di Mao ebbe un ruolo più che determinante nella costruzione della ferrovia che collega lo Zambia con il Porto di Dar Es Salaam, in Tanzania. Molta strada si è fatta da quel primo, strategico investimento. In molti ancora si ricordano quando il Presidente Xi Jinping nel 2015, durante una visita in Sud Africa, promise un investimento di 60 miliardi di dollari per le infrastrutture sudafricane. Ma gli investimenti più fruttiferi non riguardano strade e ferrovie, ma le miniere. Fondi di cooperazione e prestiti a tassi estremamente agevolati in cambio di materie prime.

Tutto al miglior offerente

Le enormi risorse minerari dell’Africa sono ben note. Un tempo si trattava principalmente di oro e diamanti, ma oggi si sono aggiunti risorse e minerali come il platino, il cobalto, il piombo, il rame, lo zinco e, non ultimo, il petrolio. Negli ultimi anni la Cina ha soddisfatto da sola più della metà della richiesta mondiale di minerali. Ma buona parte di essi non proviene dalle regioni a valle del Fiume Giallo, ma da quelle a sud del Sahara.

Il fatto che gli USA e il Giappone siano sempre meno interessati ad investire in queste zone, ovviamente, non fa che favorire la posizione della Cina. I governi di questi arretrati, bisognosi (e in alcuni casi piccoli) Stati africani hanno sempre meno strumenti per poter resistere alle pressioni cinesi. Dopotutto, gli uni sono offerenti bisognosi di liquido, gli altri acquirenti danarosi (che, a quanto pare, hanno anche sviluppato la prassi di “rinforzare” le loro offerte con benefit di vario genere per quei funzionari locali che volessero mostrarsi accomodanti).

LA Cina e il peacekeeping

Un altro segno del sempre crescente interesse cinese nella zona è dato dall’invio di propri contingenti nelle missioni ONU.  Per moltissimo tempo la Cina non aveva mai voluto collaborare alle missioni di peacekeeping delle Nazioni Uniti, ma a partire dal 2009 la situazione è mutata. In quell’anno, infatti, la Cina ha partecipato alle operazioni nel Corno d’Africa per la lotta alla pirateria. Ad oggi, trascorsi quasi 10 anni, Pechino è impegnata in almeno altri tre differenti scenari, fra cui il contingente impiegato in Nigeria contro la milizia terroristica di Boko Haram.

Nel solco di queste iniziative si colloca la nuova e imponente base navale che la Cina ha costruito nel piccolo stato di Gibuti, proprio sul Golfo di Aden. E’ la prima base militare permanente della che la Cina abbia mia costruito all’estero, e lo scopo non è solo quello di rifornire di carburante le navi impegnate nella lotta alla pirateria.

 

Una nave militare cinese salpa dal porto di Zhanjiang diretta verso la nuova base navale in Gibuti.

Il futuro del “filo di perle”

Anche questa base fa parte della “politica degli investimenti” (o, come è stata chiamata, politica del “filo di perle”), in quanto Pechino, prima di decidere la costruzione della base, aveva già investito 15 miliardi di dollari nelle infrastrutture portuali del piccolo Stato africano. Questo però ha allarmato gli Stati Uniti, i quali proprio a Gibuti possiedono la loro unica base permanente sul territorio africano.

 

Diversi analisti vedono questa struttura come una possibile indizio di un cambiamento: come dicevamo, la Cina per molti anni ha fatto credere di essere una superpotenza in ascesa che però non amava impicciarsi delle questioni degli altri Paesi. Raramente aveva condotto delle azioni tali da poter apparire come una nazione aggressiva ed intimidatrice. Forse l’approccio cinese sta cambiando. In molti si stano ancora chiedendo quale sia stato realmente il ruolo della Cina nel colpo di Stato che lo scorso novembre ha scosso lo Zimbabwe, in quanto molte sono gli indizi di contatti fra i vertici militari dello Stato Africano e Pechino. Molti non hanno potuto fare a meno di chiedersi se i ricchi giacimenti diamantiferi dello Zimbabwe centrassero qualcosa.

 

 

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