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La Regione ha deciso di fare tutto da sola …non facendo niente

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Nonostante le promesse e i numerosi incontri, i rapporti tra regione e contratti di fiume restano poco chiari e a farne le spese sono i cittadini. I rapporti tra la Regione Siciliana e i rappresentanti dei Contratti di Fiume in Sicilia non hanno avuto fino ad ora alcune esito positivo e la Regione pare essersi trincerata dietro il documento sottoscritto lo scorso anno che prevedeva l’accentramento di tutti i poteri nelle mani dell’amministrazione centrale. Esempio di questa situazione è il problema delle acque. Nonostante il referendum del 2011, con il quale ben 27 milioni di italiani si espressero per abrogare qualsiasi norma che affidava la gestione dell’acqua nelle mani dei privati. La Sicilia è la Regione che ha il record di gestori privati, cinque su nove. Sono loro che dovrebbero garantire l’erogazione, eseguire i controlli di qualità e i servizi in Sicilia. Come Sicilacque s.p.a., società mista a maggioranza privata: è di proprietà della Regione Sicilia solo per il 25 per cento; socio di maggioranza è la francese Veolia. È questa la società che vende l’acqua ai gestori privati i quali, a loro volta, la vendono ai comuni, utilizzando acquedotti le cui enormi perdite sono ripartite sulle bollette dei consumatori. Ed è sempre Siciliacque a gestire i principali bacini idrici. Il tutto si inserisce in un quadro normativo che, sia a livello nazionale, sia regionale, fa acqua da tutte le parti. Abrogata, grazie al referendum, la legge introdotta dal governo Berlusconi che obbligava il pubblico a vendere quote delle società idriche ai privati, da allora, dato che nessuna legge nazionale ha ratificato l’esito della consultazione referendaria (chissà come mai?), si è creato un generale vuoto normativo; non si sa chi debba gestire questo servizio essenziale. E anche quando esistono soggetti che (in base a quanto previsto dai regolamenti comunitari) potrebbero essere utilizzati per risolvere questi problemi, come i Contratti di Fiume, alcune regioni, come la Sicilia, sono riluttanti ad accettare quella che sarebbe la soluzione. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti dato che non manca settimana che non finiscano sui giornali:  acqua erogata con il contagocce in molte province siciliane (soprattutto a Messina e Agrigento), costi alle stelle e perdite spaventose nelle condutture (che potrebbero indicare impianti obsoleti o, peggio, furti): se al Nord la quantità di acqua che si perde è intorno al 30 per cento, al Meridione questa percentuale in alcuni casi valori spaventosi, del 50 per cento (nessun altro paese europeo ha perdite nemmeno paragonabili). Ciliegina sulla torta; nei giorni scorsi, la decisione della Regione Sicilia di non ricorrere alla Corte Costituzionale per attivare il “processo” per resistere alla decisione dello Stato di commissariare tutto. Una decisione, quella confermata dall’assessore alle Acque e Rifiuti, Vania Contrafatto, che si aggiunge a quella di non presentare ricorso per fermare le trivellazioni in cerca di combustibili fossili intorno alla Sicilia. Un decidere di non fare nulla che lascia a bocca aperta. Tanto più che le conseguenze di questa decisione di non fare saranno molte. A cominciare dalla impossibilità di limitare il costo dell’acqua fino alla decadenza degli articoli (inseriti nella legge di agosto) che concedevano ampi poteri ai Comuni siciliani. In questo modo il governo regionale, non riconoscendo i Contratti di Fiume e decidendo di non fare nulla, ha praticamente “ceduto” alle pressioni e alla volontà di commissariare tutto del governo di Roma. Inevitabili i commenti che hanno seguito questa decisione.Finisce il sogno dell’acqua pubblica in Sicilia”. È un fatto di una gravità inaudita” ha detto Giampiero Trizzino, ex presidente 5 Stelle della commissione Ambiente che aveva lavorato alla riforma con Valentina Palmeri. “Ancora una volta calpestate le aspirazioni dei siciliani”. E ha aggiunto: “Questa è la conferma che non c’è la volontà politica di disciplinare il settore dell’acqua in Sicilia e di mettere mano al sistema di potere che controlla il settore grazie all’attuale deregulation. Un fatto che va imputato non solo al governo, ma anche alla maggioranza che lo sostiene”.  Ancora più duro il giudizio del neo eletto deputato-segretario dell’Ars, Vincenzo Figuccia: “Una riforma che non riforma, un assessore gambero che fa un passo avanti e tre indietro”. Il rischio come aveva detto proprio Figuccia, poche settimane fa, è quello “di essere colonizzati da multinazionali francesi o olandesi o piuttosto inglesi”. Quella di non fare nulla e di soggiogarsi alle decisioni del governo centrale è anche la prova che il governo regionale non intende utilizzare gli strumenti a sua disposizione (come i Contratti di Fiume) e che, in barba a tutte le direttive comunitarie, non intende coinvolgere gli attori locali nel processo decisionale per la gestione del territorio. Un rischio che, forse, sarebbe stato possibile evitare giacché c’erano tutti i presupposti sia politici (molti i partiti all’Ars avevano dato il proprio appoggio – da MPA al M5S e al PD), sia tecnici (da mesi, i responsabili dei Contratti di Fiume cercano di aprire un dibattito produttivo con il governo regionale).  Un rischio che il governo regionale ha cercato di risolvere non facendo nulla. Anche a costo di lasciare i siciliani con l’acqua alla gola.

C.Alessandro Mauceri

Foto wikipedia

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