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La vetta è vicina

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Girato in 3D (e perciò distribuito in tale variante), il nuovo lavoro dell’islandese Baltasar Kormákur non si propone soltanto di essere un’avventura mozzafiato ambientata sulle pareti innevate e insidiose della più alta montagna del pianeta (riprodotte in buona parte sulle nostre Alpi); vuole anche omaggiare il coraggio (o l’incoscienza?), lo spirito di conquista (o l’ambizione?) e la generosità (o l’interesse?) degli uomini e delle donne che l’11 maggio 1996 perirono (o sopravvissero per raccontarlo, fra i quali il giornalista Jon Kracauer, qui interpretato da Michael Kelly) durante una spedizione incorsa in fatali inclemenze atmosferiche, oltre che marchiata da problemi di organizzazione derivanti da un insolito sovraffollamento di scalatori. Proprio in quegli anni, infatti, raggiungere la sommità del mondo era diventata più che una moda, si mutò in un vero business, assai redditizio per le guide esperte che pianificavano le faticose ascese, pericolosissime nonostante tutte le cautele e i presidi medici messi a disposizione dei temerari clienti, spesso irriducibili – ed emerge nella pregnante sequenza dell’intervista – nella loro intenzione di arrivare in cima. Per qualcuno un 0bbiettivo da tramandare, per altri una rivalsa personale, in ogni caso uno scopo che rischia seriamente di far perdere il buon senso. È il punto focale dello script di William Nicholson e Simon Beaufoy: l’umanità è avida, ciecamente e smisuratamente.
Dunque, un film in memoria delle otto vittime di quella sfortunata impresa (alcune, in certo modo, insospettabili) e un monito per chi se l’è cavata a caro prezzo, nonché per coloro che avessero intenzione di affrontare l’impervia salita. Numerose scene tengono con il fiato sospeso o addirittura “gelano” la platea. Gli attori non deludono, dal sempre più solido Jason Clarke al versatile Jake Gyllenhaal, dal cocciuto e “multitasking” John Hawkes all’ambiguo Josh Brolin, dal rassicurante Sam Worthington al redivivo Martin Henderson, passando per le signore che osservano da lontano (Emily Watson ed Elizabeth Debicki) o da più lontano (Keira Knightley e Robin Wright) l’evolversi e il precipitare della situazione. Gli aspetti tecnici volano ad alta quota, come si conviene. Rimane solo un appunto da fare, e non è secondario: se la sfilza finale di fotografie tradisse una sorta di autocompiacimento nei confronti della rappresentazione del terribile evento riportato alla luce? Sarebbe una leggerezza di troppo, dato che la narrazione – legittimamente, se vogliamo – non lesina, lo sottendevamo all’inizio, le critiche fra le righe e le frecciate alle cause non naturali della tragedia.

Everest (id., USA/GB/Islanda, 2015) di Baltasar Kormákur con Jason Clarke, Josh Brolin, Jake Gyllenhaal, Emily Watson, John Hawkes

di Massimo Arciresi

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KKKKK
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