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Le banche italiane: un mistero top secret

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A distanza di poco più di una anno dallo stress test voluto dalla Bce e a poco meno di un mese dall’entrata in vigore della norma voluta dal governo Renzi è normale chiedersi qual è lo stato delle banche italiane. Un quesito tanto più importante in quanto, in attesa che Bruxelles dia il via libera definitivo per la creazione di una bad bank nazionale (ovvero una per accogliere a braccia aperte tutte le “sofferenze” delle banche presenti nel Bel Paese), il primo gennaio 2016 a ridurre le “sofferenze” delle banche nazionali potrebbero essere chiamati i correntisti (con depositi superiori ai 100.000 euro). Un rischio tutt’altro che remoto almeno stando ai dati diffusi dall’ABI, l’Associazione Bancaria Italiana che nell’ultimo rapporto, il ABI montly out look, sarebbero diverse le banche che presentano seri rischi (pur avendo superato lo stress test di qualche mese fa). Ad essere a rischio sarebbero l’Istituto per il credito sportivo, la Cassa di risparmio di Ferrara, la Banca delle Marche, la Bcc Irpina, la Cassa di risparmio di Loreto, la Banca popolare dell’Etna, la Banca padovana credito cooperativo, la Cru di Folgaria, il Credito trevigiano, la Banca popolare delle province calabre, la Cassa di risparmio della provincia di Chieti, la Banca di Cascina, la Bcc Banca Brutia, la Bcc di Terra d’Otranto e la Banca popolare dell’Etruria e del Lazio. Non a caso, in un comunicato del 21 settembre 2015 la Banca d’Italia, in qualità di Autorità nazionale di risoluzione delle crisi nell’ambito del meccanismo di risoluzione unico europeo, ha preannunciato l’istituzione al proprio interno di una Unità di Risoluzione e gestione delle crisi. Una situazione grave influenzata anche dalle sofferenze nette rapportate al capitale + riserve (ovvero quelle sulle quali le banche non hanno ancora messo coperture a bilancio) che continuano a salire vertiginosamente. Ogni giorno che passa si riduce sempre di più il “margine” di sicurezza costituito dal capitale delle banche. Per contro cresce il rischio che siano necessari ulteriori interventi per evitare il default. Dai dati dell’ABI si evince che il rapporto tra le sofferenze bancarie e il capitale ha superato il venti per cento (20.92), con un trend in crescita e un’impennata nell’ultimo periodo. Ma non basta. Lo stato di grave crisi di questi istituti di credito potrebbe avere conseguenze anche sulle banche più grandi. A dover intervenire per compensare le perdite di questi enti, infatti, dovrebbe essere il Fondo interbancario di garanzia dei depositi (Fitd). Secondo gli ultimi dati diffusi, si tratterebbe di una somma non inferiore a due miliardi di euro che dovrebbe essere reperita attingendo a banche come Intesa San Paolo o Unicredit). E il tutto entro poche settimane. Per questo motivo il Fitd ha dichiarato che “la decisione del Fondo verrà attuata successivamente all’entrata in vigore del decreto legislativo di recepimento della direttiva europea in materia di risanamento e risoluzione degli enti creditizi”. In altre parole, il Fondo interverrà solo dopo che sarà entrato in vigore la legge che prevede il bail in, ovvero solo dopo che parte delle perdite delle banche in sofferenza saranno state scaricate sui correntisti. A questo si aggiunge una condizione critica derivante dalle sofferenze bancarie: secondo i dati del Centro Studi Unimpresa, queste avrebbero raggiunto la ragguardevole somma di 198 miliardi (di cui 142 derivanti da imprese, in barba alla ricrescita sbandierata da Renzi). Una criticità che nell’ultimo anno è aumentata. Ciò imporrà, per evitare tracolli, la ricapitalizzazione di molte banche. A questo si aggiunge lo stato di crisi di alcune banche che da qualche tempo hanno concentrato la propria attività in Italia. Deutsche Bank, ad esempio, è da tempo sotto osservazione da parte degli operatori del settore: il colosso teutonico avrebbe le casseforti piene di titoli spazzatura (per oltre 75 trilioni di dollari, ovvero 75mila miliardi di dollari, diverse volte il Pil di tutti i paesi europei messi insieme). Una situazione aggravata dal dover pagare multe miliardarie (l’ultima da 1,5 miliardi da parte di Usa e Gran Bretagna per aver cercato di alterare alcuni indici di borsa) che sono costate, alla prima banca tedesca un giudizio di insufficienza: a giugno “Standard & Poor’s” ha ridotto il rating della Deutsche Bank a BBB +, cioè “solo tre posizioni al di sopra del livello “spazzatura””, e un crollo in borsa (le azioni che, all’inizio del 2014, venivano scambiate a quasi 40 dollari, oggi valgono meno di 24 dollari). Un problema che potrebbe non essere solo “tedesco”, dato che ad oggi sono ben quattrocento gli sportelli Deutsche Bank in Italia (a fronte di novecento nel resto del mondo, Germani inclusa). Uno stato di fatto grave per i risvolti che potrebbe avere nel breve e medio periodo: il fallimento anche di una sola di queste banche obbligherebbe la Banca d’Italia ad intervenire per tutelare i conti correnti inferiori ai 100.000 euro. Ciò avrebbe con un costo di diversi miliardi e potrebbe scatenare un effetto a catena: le conseguenze per le banche più grandi potrebbero non essere sostenibili (in prima battuta sarebbero questi istituti a dover sostenere i fondi del Fidt) e si avrebbe un rialzo dello spread (con le conseguenze che tutti gli italiani conoscono). Una stato di criticità di molte banche italiane che ha spinto il vicedirettore generale della BdI Fabio Panetta a inviare una lettera inviata al consiglio di supervisione Bce (a diffondere la notizia è stata Bloomberg) e a chiedere di non prendere decisioni “ingiustificate” e “arbitrarie” nell’esame annuale sullo stato degli istituti di credito (Srep).

C.Alessandro Mauceri

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