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Rubrica, La storia del teatro popolare raccontata da Giacomo Civiletti – parte III –

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Burruano ed io tornammo al Piccolo Teatro molto, ma molto arrabbiati e così nacque “Palermo oh cara!’; riprendemmo un’idea di Truden, quella del teatrino di carte e Toti Garraffa le pittò. Con pochissimi mezzi, con qualche straccio mettemmo in scena uno spettacolo corale che fece epoca. Tutti davamo il nostro contributo d’idee e Burruano, protagonista nel ruolo “du Rancutanu”, grande bestia da palcoscenico con grandissima abilità raccoglieva, selezionava le idee di tutti, anche le sue. Fu comunque un successo strepitoso del quale ancora si parla, si effettueranno più di cinquecento repliche, di cui almeno quattrocentocinquanta a Palermo. Le affascinanti musiche di Toti Basso e le struggenti canzoni di Mari lena Monti, le battute fulminanti di tutti spingevano il pubblico a rivedere più volte lo spettacolo. Lo c’ero e ricoprivo vari ed importanti ruoli. Ero la voce narrante, uno dei due pupari (l’altro era Gigi) il banditore e dulcis in fundo Gne-Gne, il ladro che sull’autobus cantava Reginella. C’era anche Paride Benassai, allora molto giovane e molto bravo, faceva “u succi”, c’era Rory Quattrocchi che interpretava Rosuccia e la vecchia della maledizione, una parte che le riusciva benissimo perché mentre diceva schifezze al “Rancutano”, in effetti lei le diceva e Gigi ch’era allora il suo compagno. Un caso di sovrapposizione fra l’interpretazione ed il personaggio, anche per Drago, bravissimo ad interpretare la parte del Cristo che va dal barbiere. Il merito maggiore di Drago è stato quello di fondare un teatro, formare una compagnia e portarla in giro per l’Italia. Siamo stati a Torino, Firenze e Roma. Nella capitale ci siamo fermati un mese, eravamo in quello che fu il teatro di Petrolini, vicino piazza Navona. Era gestito da alcune simpaticissime persone, si chiamava Parnaso, noi lo chiamavamo Parculo, ma loro erano contenti, più civili di noi, gradevoli, intelligenti, affettuosi e soprattutto rispettosi della nostra diversità.

di Giacomo Civiletti e Serena Marotta

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