Breve

Un (super)eroe piccolo piccolo

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La prima impressione è che un regista meno “all’ingrosso” (l’inventivo britannico Edgar Wright, per esempio, scelto all’inizio e la cui firma è rimasta visibilmente apposta alla sceneggiatura) rispetto a Peyton Reed, adatto a prodotti di basse pretese (Ragazze nel pallone, Yes Man) e tuttavia lacunoso quando si deve lavorare di cesello (Abbasso l’amore – Down with Love, Ti odio, ti lascio, ti…), avrebbe pesato maggiormente sul risultato del nuovo lungometraggio Marvel, provvisto di tutti i crismi (dal cameo di Stan Lee alle sorprese – per una volta poco sorprendenti – durante e dopo i titoli di coda) e in qualche modo, per converso, “contaminato” dalla recente acquisizione disneyana del marchio (basterebbe l’ampia “partecipazione” del Trenino Thomas, ma è anche una questione di ingentilimento del tocco). Probabilmente il punto è proprio questo: poiché il personaggio centrale, Scott Lang, un ladruncolo con problemi familiari reclutato e miniaturizzato da Hank Pym (Michael Douglas), scienziato allarmato dall’uso prevalentemente bellico che si intende fare della sua invenzione (una tuta rimpicciolente e rinforzante in precedenza sperimentata in prima persona), si presta a sfumature avventurose e ironiche, per raccontare le sue turbolente gesta non c’era che da affidarsi a una guida – non per forza fra le migliori – avvezza ai toni della commedia.
Dunque, la soluzione dietro la macchina da presa, tra una battuta del protagonista (Paul Rudd, che si muove coscientemente sul solco già tracciato dal collega Robert Downey Jr., e perciò si profila una seconda giovinezza super-professionale pure per lui) e uno sbeffeggiamento degli Avengers, qui rappresentati da Anthony Mackie, ossia Falcon, si rivela ottimale. Lo script, sebbene ci abbiano messo le mani in molti (fra cui lo stesso Rudd insieme all’amico cineasta Adam McKay, sotto il segno della comicità paradossale che ha informato le loro carriere recenti, senza dimeticare Joe Cornish, sodale di Wright), è equilibrato e vivace quel tanto che basta, malgrado non sia memorabile. Evangeline Lilly (Hope, scontrosa figlia di Pym) è un’attrice in crescita, grintosa a dispetto di un certo semplicismo recitativo. Che cosa manca, allora? Ciò che è stato sottratto di proposito, quell’epica saltuariamente tronfia che avvolge i film del genere. I trucchi digitali sono comunque di altissimo livello (vedi lo sprofondamento sub-atomico): ulteriori carenze in tal senso, in effetti, avrebbero comportato vere perplessità. Per il resto, gli appassionati del fumetto sanno già che Ant-Man un giorno diventerà Giant-Man; un’altra storia che, di sicuro, approderà sullo schermo.

Ant-Man (id., USA, 2015) di Peyton Reed con Paul Rudd, Evangeline Lilly, Michael Douglas, Corey Stoll, Michael Peña

di Massimo Arciresi

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