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300 donne in vendita sui marciapiedi palermitani a fini di sfruttamento della prostituzione. Il mercato della carne umana in offerta a 30 euro a persona.

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15492390_1154735061246922_710681889037750561_nEsperto sul Tema ed ospite, nello studio de “L’altroparlante”- nome del programma radiofonico che si occupa di temi sociali e legalità, in diretta ogni mercoledì su RadioIn 102 a Palermo, il prof. Sergio Cipolla, presidente del CISS (Cooperazione Internazionale Sud – Sud), l’associazione palermitana che dal 1985 si adopera per uno sviluppo sostenibile del Sud, (http://www.cissong.org/it), nell’idea di “sviluppo” cosi definita: “che nasce caso per caso, partendo dalla centralità delle persone e dalle loro interrelazioni, da una “valorizzazione” delle risorse che non sia guidata dal profitto, ma bensì dalla necessità di soddisfare i bisogni delle comunità umane adottando i principi della sostenibilità al fine di garantire i diritti delle generazioni future, delle altre specie viventi e dell’ambiente”, fotografa e denuncia la complessa problematica sul fenomeno della migrazione, fortemente legata un altro drammatico fenomeno criminale: la tratta delle schiave. Una realtà, in Italia come in altri Paesi, in costante aumento e che coinvolge sempre più spesso donne ed adolescenti schiavizzate e costrette a prostituirsi. La dimensione del fenomeno e la sua diffusione sul nostro territorio, emerge grazie ad un´inchiesta condotta da Repubblica (giugno 2016). I dati sono quantomeno preoccupanti, nel 2013 le ragazze giunte in Italia per essere avviate alla prostituzione erano poco più di 400, già nel 2014 sono diventate 1.500 e sono aumentate a 5.000 nel 2015; un aumento esponenziale che culmina nei primi cinque mesi del 2016 con ben 2000 arrivi nella sola Italia. Questo dramma coinvolge anche moltissime minorenni, con un’età media sempre più bassa (quindici, tredici anni). Le minori, quasi sempre non accompagnate, spesso approdano sulle nostre coste, dopo interminabili e devastanti viaggi che hanno inizio dai loro Paesi d’origine e trovano il momento conclusivo ed estremamente rischioso nelle traversate della speranza con le tristemente note “carrette del mare”. Spesso, raccontano gli ospiti durante la trasmissione, vengono recuperate dagli uomini del racket organizzato, riuscendo a fuggire dai centri di accoglienza e prendendo contatto con i loro aguzzini, a volte già segnalati al momento della partenza, diversi mesi prima. Si, sono minorenni molte delle ragazze che vediamo sui marciapiedi palermitani (vedi il Parco della Favorita o la zona della Cala a Palermo).  Il prof. Cipolla traccia la strada per combattere questo fenomeno, si dovrebbe agire su due fronti principali e simultaneamente. Sul fronte locale, qui in Italia, attivando due misure: la prima, che riguarda direttamente le vittime, cercando di sottrarne quante più possibile ai loro aguzzini; l’altra, sempre su un piano d’azione locale, che agisca su coloro che contribuiscono, con atteggiamenti criminogeni, a mantenere in vita questo sistema. Intendiamo quindi un’azione utile a sensibilizzare e informare i “fruitori di questi servizi”, responsabilizzandoli sugli effetti devastanti delle loro scelte. Il momento più sconfortante della interazione tra “clienti” e “fornitori di servizi” è probabilmente la fase della trattativa sul costo del “servizio”. Un atteggiamento che conferma ed esalta l’insensibilità delle persone che vanno in cerca di sfogo sessuale. Un’ulteriore conferma di una visione di massa deformata e preoccupante, che quasi vuol giustificare la prostituzione (in questo caso preceduta dalla riduzione della vittima in stato di schiavitù) quasi fosse una scelta di comodo, di quelle donne che in abiti succinti e pose sensuali, richiamano in strada l’attenzione dei viandanti. Continua Sergio Cipolla, presidente del CISS, –  l’altro fronte su cui combattere, è quello internazionale e sempre relativo alla campagna di sensibilizzazione ed informazione che non può e non deve fermarsi in Italia, che va fatta anche e prima di tutto nei Paesi di origine delle vittime. È necessario informare sia loro le donne potenzialmente a rischio che  le famiglie,  spiegando i meccanismi della  rete  malavitosa che muove le fila di queste operazioni internazionali. È importante sottolineare che spesso la vittima (la maggior parte delle vittime provengono dai Paesi Africani e dell’est Europa), viene individuata sulla base della sua impossibilità a mantenersi in vita, quindi sull’incapacità di soddisfare i bisogni primari quali, alimentazione, salute ecc. Inizia così, una leva psicologica incentrata sulla disperazione umana, attraverso la promessa di una vita migliore in un nuovo Paese. È importante dire che anche altri fattori coercizzanti si attivano a scapito delle donne provenienti da alcune zone dell’Africa. In certi contesti territoriali particolarmente isolati e non solo, assistiamo a fenomeni di plagio mentale, legato a minacce che trovano forza in alcuni rituali religiosi (vedi i riti voodoo), in questo caso gli sfruttatori fanno leva anche sulla mancanza di cultura, non solo della vittima ma di tutta la sua famiglia che, terrorizzata, non reagisce alla minaccia. Nella contrasto alla “tratta delle schiave”, un altro fondamentale passaggio, è l’allontanamento delle vittime dalla strada e dai loro aguzzini, cui poi seguirà una lunga fase di reinserimento nella società. Spesso questo periodo, che va dal primo contatto in strada fino al reinserimento, può durare diversi mesi e non sempre termina con successo. Solo gli operatori con competenze specifiche e strutture ben organizzate, oltre che in sinergia con le Autorità competenti (trattandosi comunque di reati commessi sul suolo italiano), possono attivarsi e sviluppare progetti efficaci. Il reinserimento in società delle vittime, in particolare, prevede una serie di azioni fondamentali e preventive quali: l’individuazione di “case sicure”, in cui portare le vittime non appena sottratte alla strada. Il sostegno psicologico per affrontare i traumi subiti in schiavitù, il sostegno di base per le necessità primarie e tante altre attività indispensabili come ad esempio la produzione di documenti personali ecc. Tutte le fasi progettuali, già molto strutturate e per niente semplici nella loro attuazione, non avrebbero comunque alcun senso se non ci fosse un altro momento fondamentale e relativo alla fase di autodeterminazione della vittima che, solo attraverso l’acquisizione di indipendenza sia economica che sociale, potrà ritrovare una sua dimensione umana. L’indipendenza passa dalla formazione della persona, sia dal punto di vista lavorativo che dal sostegno per l’inserimento nel mercato del lavoro. In Italia ove possibile, oppure se la vittima lo desidera (ed a nostro parere più correttamente), nel suo Paese d’origine. Sono facilmente immaginabili le difficoltà legate alla sicurezza della vittima, una volta rientrata nel proprio Paese (ricordiamo che queste donne, spesso partono già sotto minaccia personale od ai danni dei loro familiari), così come critico sarà l’avvio di attività (ad esempio artigianali) nei loro territori. Ricordiamo che tante altre complesse azioni utili al recupero lo diventano ulteriormente, quando hanno vita in luoghi lontani da chi segue tutto l’iter progettuale. Fortunatamente Palermo, nella sua eterogeneità a volte perfino dicotomica, se da un lato vede un incremento di persone (senza alcuna distinzione di età) che cercano “servizi in strada”, dall’altro mostra una fattiva cooperazione tra le Associazioni che, sul territorio, si occupano anche del dramma della schiavitù femminile ai fini dello sfruttamento della prostituzione. Il CISS, insieme ad altre organizzazioni, ha costituito un Coordinamento cittadino “ad hoc” che tra le varie attività svolte, si occupa di monitorare e combattere il fenomeno anche da un punto di vista sociale, attraverso attività di informazione e sensibilizzazione indirizzate alla cittadinanza. Dobbiamo infine tenere presente un ultimo ed importante aspetto di questa realtà, dietro tutto ciò esiste un risvolto di illegalità non indifferente. Abbiamo a che fare con un’alleanza internazionale di organizzazioni criminali, che si traducono in un lavoro giudiziario complesso e lungo. Basti pensare alle implicazioni che il gettito di “denaro sporco” ha sulle altre attività criminali, come ad esempio il traffico di droga, il sostentamento dei latitanti e tanto altro ancora, ma soprattutto a come le mafie locali si siano adeguate e coordinate per trarne vantaggio, un fenomeno a dir poco preoccupante. Non bisogna essere appartenenti alla magistratura od alle Forze dell’Ordine, per capirne la portata ed accettarne l’esistenza. Noi, semplici cittadini, possiamo solo prendere coscienza del valore delle nostre scelte e delle ricadute che esse hanno sugli altri essere umani. La consapevolezza è già un nuovo inizio di convivenza pacifica e di rispetto tra gli esseri umani.

di Mauro Faso

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