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Afghanistan: i morti “danni collaterali”

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Ieri il presidente statunitense Barack Obama è stato costretto a presentare scuse ufficiali per quello che il portavoce delle forze Usa in Afghanistan, il colonnello Brian Tribus, ha definito un attacco aereo che “potrebbe avere causato danni collaterali ad una struttura medica della città”.
Nei giorni scorsi truppe americane facenti parte di una “missione di pace” hanno lanciato alcune bombe sull’ospedale di “Medici senza Frontiere” a Kunduz. Ancora incerto il numero di morti (una ventina quelli fino ad ora accertati) e una trentina i dispersi.
Un modo forse troppo semplicistico di definire le persone uccise nel corso di quella che avrebbe dovuto essere una “missione di pace”, considerando che, secondo i dati ufficiali diffusi dall’ UNAMA (United Nations Assistance Mission in Afghanistan), solo nei primi sei mesi del 2015, le vittime civili, sono state 4921 (1592 morti e 3329 feriti gravi) e il loro numero cresce di ora in ora.
Inutili le dichiarazioni rilasciate fino ad ora e le promesse fatte (Obama, durante l’ultima campagna elettorale, aveva promesso che avrebbe ritirato le truppe americane dall’Afghanistan nel giro di pochi mesi). Dall’inizio della “missione di pace” ad oggi, quelli che il colonnello Tribus ha definito “danni collaterali” sono stati ben 52.653 (di cui 19.368 morti e 33.285 feriti gravi). E di questi molti sono “danni” imputabili agli attacchi degli alleati: l’ultimo rapporto UNAMA attribuisce un 70 per cento delle vittime civili a militanti anti-governativi e un 16 per cento imputabile alle forze pro-governative. Del restante 14 per cento nessuno parla. Queste migliaia di morti sono state classificate come “danni collaterali” di una missione “di pace” che finora ha portato solo guerra e distruzione.
Quella che si combatte da quasi un decennio in Afghanistan ha avuto un solo risultato concreto (ma inspiegabile): il paese è diventato il primo produttore ed esportatore al mondo di oppio (oggi in Afghanistan si produce circa il 93% dell’oppio reperibile nel mercato mondiale). Per il resto c’è solo devastazione e morte. La capitale Kabul è ormai ridotta ad un cumulo di macerie irriconoscibile e nessuno sa se e quando sarà possibile avviare i lavori di ricostruzione (e, soprattutto, dove trovare i soldi per farlo). Sempre che al termine del conflitto in Afghanistan ci si ancora qualcuno a ricostruire questa città: la maggior parte di quelli che vivevano a Kabul sono fuggiti e hanno deciso di diventare profughi o rifugiati (molti vivono in campi di raccolta, tendopoli gigantesche costruite appena oltre il confine). E quei pochi che hanno deciso di non fuggire spesso vengono uccisi dal fuoco amico. Inutili fino ad ora gli inviti dell’UNAMA a “rispettare le norme del diritto internazionale, che richiedono siano poste in essere solide e significative misure per proteggere la popolazione civile”. In Afghanistan non c’è alcuna forma di civiltà e chi aveva promesso “pace” e “democrazia” ha portato solo guerra e distruzione. E lo ha fatto chiedendo in cambio decine di migliaia di vite umane.
È per questo che le autorità americane e i principali media Usa (impegnate in una campagna elettorale senza esclusione di colpi) non parlano più di “morti”: per loro sono solo “danni collaterali”.

di C.Alessandro Mauceri

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