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I rifiuti in Sicilia …..ovvero il gatto che si morde la coda.

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La situazione del trattamento dei rifiuti solidi urbani e delle acque reflue in Italia, ma soprattutto in Sicilia, ha ormai assunto risvolti tragicomici.

Secondo una analisi del sistema rifiuti in Sicilia, condotta dall’Autorità nazionale anticorruzione, presieduta da Raffaele Cantone, a non pagare la tassa dei rifiuti solidi urbani sarebbe un siciliano su due. Un’evasione che, secondo l’Anac, è una delle cause del pauroso debito ammontante a un miliardo e 164 milioni di euro (in circa 15 anni), accumulato dagli Ato rifiuti, ossia le associazioni dei Comuni che hanno gestito il servizio (oggi sono le Srr, le Società di regolamentazione dei rifiuti). Debiti che hanno finito per gravare sulla Regione, ma soprattutto sui fornitori e sulle ditte appaltatrici.

Molti comuni siciliani, specie quelli più grandi, sono un cumulo di rifiuti. La spazzatura si accumula per strade e piazze e, anche quando viene conferita in discarica, non viene trattata come dovrebbe. Non a caso l’Ue ha avviato una procedura di infrazione ai regolamenti comunitari nei confronti dell’Italia e ha comminato una sanzione salatissima (quasi mezzo miliardo di euro all’anno per non aver rispettato i regolamenti 2004/2034, 2009/2034 e 2014/2059). Una somma che il governo ha subito inserito nella Legge di Stabilità (quella vera, non quella presentata inizialmente alla stampa a colpi di emoticon). Facendo sapere, però, che per queste somme si rivarrà sugli enti locali. Ovvero, che a pagare dovranno essere regioni, province e comuni. I quali, ovviamente, visti i bilanci quasi sempre in rosso, non potranno che scaricare tutto sui cittadini e caricare sulle loro spalle imposte e gabelle sempre più care.

Per contro, le proposte del governo centrale per risolvere i problemi legati alla raccolta e al trattamento dei rifiuti solidi urbani sembrano assolutamente insufficienti. Dopo decenni di discussioni e diatribe, il governo ha deciso di ricorrere ai termovalorizzatori: otto impianti giganteschi (di cui due in Sicilia). Una decisione che lascia perplessi sotto molti punti di vista. Innanzitutto perché, come ha affermato lo stesso commissario incaricato da Roma, questi non saranno sufficienti a smaltire la produzione di rifiuti della Sicilia completamente. Ciò significa che molti comuni dovranno continuare a servirsi delle discariche tradizionali. Siti che, in molti casi, sono già in violazione delle norme comunitarie e oggetto di richiami, multe e sanzioni. Ma non basta. Per realizzare questi impianti sarebbero necessari non meno di cinque anni (sempre che tutto vada bene). Cosa dovrebbero fare i siciliani nel frattempo? Mettere i rifiuti nel congelatore? O, come proposto qualche anno fa, spedirli altrove. Magari in Olanda o in Danimarca, dove i rifiuti, al contrario di quanto avviene in Sicilia e in Italia, non sono considerati un problema, ma una risorsa. A proposito di trasporti, i progettisti che hanno previsto la costruzione, in Sicilia, di due mega impianti (invece che molti di più ma di dimensioni minori), non hanno pensato che questa decisione comporterà inevitabilmente il trasporto dei rifiuti fino agli impianti di trattamento. Cosa, questa, che aumenterà i costi del servizio e i rischi di disservizi (si pensi, ad esempio, a cosa sarebbe successo se gli impianti fossero stati localizzati al centro della Sicilia durante il periodo in cui il tratto di autostrada Palermo-Catania è stato chiuso).

Del resto, la decisione di non pagare questa tassa, da parte di molti cittadini, secondo il rapporto dell’Anac, sarebbe dovuta proprio al fatto che i servizi sono scadenti o assolutamente assenti. Nella relazione si parla di una “frammentazione sistemica di servizi e territorio” dovuta al “numero eccessivo di soggetti titolari di competenze e funzioni”. La causa sarebbe una scarsa pianificazione e la difficoltà di applicare una normativa regionale (la legge regionale 9/2010), che viene definita “non solo contraddittoria, ma difficilmente applicabile”. Secondo l’Anac, la Regione non è stata capace di “programmare i tempi di entrata in vigore della nuova disciplina e i ritardi – a volte colpevoli – delle amministrazioni comunali”, fattori che “spingono a sistematici differimenti”. Le varie modifiche della legge, poi, hanno reso la sua applicazione molto più complessa: su 390 comuni della Sicilia, 260 hanno costituito un Aro, Ambito di raccolta ottimale, ma in quasi la metà dei casi (103) questo coincide col comune stesso. A questo si aggiunge che molti degli Aro hanno una popolazione che supera di poco i 6mila abitanti e che le Società per la regolamentazione del servizio rifiuti, che originariamente erano nove, in poco tempo sono diventate 18: una decisione che secondo l’Authority, la Regione dovrebbe “ripensare”. La “frammentazione sistemica di servizi e territorio” ha impedito la realizzazione di servizi omogenei e, soprattutto, ha causato una “evidente irragionevolezza del sistema”.

Immediata la levata in rivolta dei segretari di Fp, Cgil, Fit, Cisl e Uiltrasporti, Claudio Di Marco, Dionisio Giordano e Pietro Caleca, che hanno detto cheDa anni proviamo ad avviare un confronto che sia continuo con tutte le parti istituzionali e imprenditoriali allo scopo di trovare soluzioni adeguate ad uscire da un disastroso sistema di gestione dei rifiuti in Sicilia”. E ancora “La più che decennale assenza di governance regionale sui temi dell’impiantistica e sul modello di corretta gestione dei rifiuti ha prodotto due miliardi di debiti degli Ato e quindi dei comuni, servizi scadenti per i cittadini, macelleria sociale dei lavoratori, ed un diffuso senso di illegittimità ed illegalità che ha indotto Cgil Cisl e Uil a chiedere più volte l’intervento dell’autorità giudiziaria”.

Analoga la reazione di Leoluca Orlando, presidente dell’AnciSicilia oltre che sindaco di Palermo:La mancata attuazione della legge regionale 9 2010, l’assenza sino ai nostri giorni di un adeguato Piano regionale dei rifiuti, la mancanza di un programma di impiantistica pubblica e la decennale confusione e lacunosità di direttive regionali sono tutti elementi di quello che l’AnciSicilia, da mesi, definisce “stato di calamità istituzionale””.

Molti di quelli che hanno attaccato le  responsabilità dell’amministrazione regionale (peraltro innegabili), hanno dimenticato di parlare delle proprie. In molti comuni, ad esempio, tra cui Palermo e Catania, la raccolta differenziata è tra le più basse d’Italia (la percentuale si assesta intorno al 10per cento). E così in molte delle province siciliane. Si tratta di un servizio che non viene offerto ai cittadini, ma anche di una mancata fonte di reddito per il comune e per le imprese che operano nel settore. Aziende che, in altre parti d’Italia e in altri paesi d’Europa, vivono di queste risorse. Si tratta, però, anche di un problema in termini di massa di rifiuti che finisce nelle discariche o, se e quando verranno mai realizzati, nei termovalorizzatori: basti pensare che la raccolta differenziata del 50 per cento (come avviene in alcuni comuni italiani) significherebbe portare in discarica la metà dei rifiuti solidi urbani. Questo avrebbe come conseguenza poter utilizzare più a lungo le vasche di raccolta prima che siano colme e sia necessario predisporne altre, per non parlare del minore impatto sull’ambiente, sulla salute e molto altro ancora. Quanto alla gestione stessa delle discariche, molti comuni non sono immuni da responsabilità. Bellolampo, ad esempio, la discarica che serve Palermo, ma anche molti altri comuni siciliani, da anni vessa in condizioni critiche a causa della gestione del percolato. All’inizio di dicembre, la Regione Sicilia ha inviato alcuni ispettori per valutare la situazione. Un problema che era serio già nel 2010 (al punto che  venne presentata una interrogazione consiliare firmata dalla Spallitta proprio sullo stato del percolato). E nei giorni scorsi ci sono state altre polemiche dopo che i funzionari della discarica di Bellolampo si sono rifiutati di permettere la visita agli impianti di una delegazione consiliare guidata dal consigliere comunale Figuccia….

Ormai è chiaro che le amministrazioni locali, a tutti i livelli e per diversi motivi, non sono state in grado di fornire un servizio efficiente per ciò che riguarda i rifiuti. Ma di questo, né i sindacati né il sindaco Orlando né gli altri sindaci siciliani hanno detto nulla.

Così come nessuno ha detto che a pagare le multe imposte dall’Ue all’Italia e i costi della cattiva gestione del settore rifiuti solidi urbani in Sicilia saranno sempre gli stessi: i cittadini. O, almeno, quelli di loro che, magnanimi, ancora pagano questa tassa pur essendo costretti a vivere in città sporche e maleodoranti, con discariche tossiche (un paio d’anni fa, l’incendio della quinta vasca di Bellolampo causò l’emissione di gas tossici che impiegheranno decenni per dissolversi) e ben sapendo che, da anni, il governo centrale e le amministrazioni locali hanno fatto male il proprio lavoro. Gli altri, ovvero il 50per cento  di contribuenti che, secondo l’Anac non paga più questa tassa, forse si sono stancati di credere alle promesse.

C.Alessandro Mauceri

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