Evidenza

L’allarme sul fenomeno dei migranti climatici ed ambientali

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Sono serviti tre anni ad un rifugiato proveniente dal Pakistan  per ottenere il riconoscimento da parte delle autorità italiane di “ profugo ambientale ”. Nell’agosto 2013 era scappato dal Punjab pachistano dopo l’esondazione di un fiume durante la stagione dei monsoni: “Il fiume Chenab, uno dei più grandi del Pakistan, ha invaso tutto. Sono arrivato in paese e non era rimasto più nulla. Le nostre case, fatte di canna da zucchero e terra, erano scomparse e i miei genitori, con i miei due fratelli più piccoli, erano stati travolti dall’acqua mentre dormivano. Non c’era traccia di loro”, ha riferito. Il suo non è un caso unico in Italia e, tanto meno, in Europa. Il numero dei profughi ambientali è di gran lunga maggiore di quello dei profughi che fuggono da guerre e invasioni. Eppure, pare che i media siano restii a parlarne. Già nel 2013 un rapporto di Legambiente citava lo studio di Mayer, secondo il quale entro il 2050 si dovrebbero raggiungere tra 200 e 250 milioni di rifugiati ambientali. Un dato confermato dal Programma delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNEP) che parla di 50milioni di profughi climatici nel 2060 solo dall’Africa. A confermare che non si tratta di previsioni senza una base scientifica, è uno studio diffuso nei giorni scorsi da Avvenia. Nel 2015 questa associazione aveva lanciato l’allarme sul fenomeno dei migranti climatici ed ambientali: in pochi anni il loro numero è praticamente raddoppiato passando dai 18 milioni del 2011 a 36 milioni nel 2015. Nel 2016 alluvioni, siccità e altri eventi metereologici estremi hanno fatto crescere ancora questo dato fino a 42 milioni. Secondo i ricercatori metà di loro proviene da Siria, Yemen e Iraq. L’altra metà arriva da Paesi africani e dall’Asia meridionale ed orientale (a cominciare da India, Cina e Nepal). Nel 2015, secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre su 27.8 milioni di sfollati interni agli Stati, 8.6 milioni sono fuggiti da guerre e violenze, 19.2 milioni da disastri naturali improvvisi e violenti come inondazioni e uragani. A questi, però, si aggiungono altri 13 milioni di rifugiati ambientali che sono fuggiti non a causa di fenomeni improvvisi ma per i cambiamenti e la lenta trasformazione del proprio territorio provocate dai cambiamenti climatici. Uno dei motivi per cui di queste migrazioni in genere si parla poco, potrebbe essere che spesso si tratta di “migrazioni interne”. Solo di recente questi spostamenti si sono spinti oltre i confini nazionali e hanno riguardato anche il continente europeo. Qui, per alcuni di loro, che fuggono da paesi in cui le condizioni di vita sono insostenibili anche a causa delle scelte economiche dei paesi in cui fuggono, inizia un vero e proprio calvario. In molti casi è quasi impossibile distinguere tra i profughi da guerra, i profughi economici e quelli ambientali. Non si tratta solo di un problema legato ai trattati e agli accordi internazionali: molto spesso è difficile comprendere la vera causa della fuga di una persona dalla propria casa. Capire se qualcuno fugge perché perseguitato da un invasore o da una persona di etnia diversa o se, invece, ha dovuto lasciare la propria terra perché lì non era più possibile vivere. Per non parlare di quelli che fuggono a causa delle guerre che derivano da squilibri ambientali. Del resto, lo stesso conflitto siriano è stato in buona parte determinato dalla spaventosa siccità che attanagliava il Paese da anni e che ha costretto popolazioni di fede religiosa opposta a migrare all’interno del Paese. E con l’inasprirsi degli scontri e la distruzione di molte infrastrutture (come quelle idriche), la situazione ambientale, già difficile, è peggiorata e anche quelli che non erano diventati profughi a causa dei conflitti sono fuggiti e sono diventati profughi ambientali. Lo stesso sta avvenendo in altri paesi. Nei prossimi 30 anni, a causa dei cambiamenti climatici, il Fiume Giallo, lo Yangtze, il Gange, l’Indo, l’Eufrate, il Giordano, il Nilo e molti altri fiumi ridurranno la loro portata d’acqua del 30%. Per contro la domanda di questa risorsa crescerà a causa dell’aumento della domanda di prodotti alimentari (e quindi agricoltura e allevamento) ma anche per la produzione di energia. E dove la domanda non può essere soddisfatta dall’offerta o dalle risorse locali, è facile prevedere che si avranno scontri e guerre e che milioni di persone siano costrette a lasciare la propria casa. E diventare, così, profughi ambientali.  I migranti non sono tutti uguali. Ma di questo nessuno pare volersi interessare. Non se ne è parlato a Parigi alla COP21. E nemmeno a Marrakech durante i lavori della COP22 alla fine dello scorso anno. E questo problema pare non sia in scaletta tra i temi che verranno trattati alla COP23 a Bonn. Eppure secondo l’Organizzazione Mondiale delle Migrazioni la probabilità oggi di essere costretti ad abbandonare la propria casa e la propria terra a causa dei cambiamenti climatici è aumentata del 60% negli ultimi 40 anni…..

C.Alessandro Mauceri

 

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