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Terremoto in Nepal: neonato trovato vivo dopo tre giorni

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Un neonato di soli quattro mesi è stato ritrovato vivo dopo tre giorni dal terribile terremoto, di magnitudo 7.8, che ha sconvolto il Nepal. Il ritrovamento è avvenuto sotto le macerie di quella che un tempo era la sua abitazione a Bhaktapur, nella valle di Kathmandu. Un’altra persona invece è stata estratta viva dalle macerie della sua casa, da soccorritori francesi e nepalesi, dopo ben 82 ore dal sisma. L’uomo era rimasto intrappolato sotto le rovine accanto a tre corpi, senza cibo e senza acqua. «Abbiamo aperto un foro attraverso il calcestruzzo secondo le istruzioni del team francese, poi loro hanno portato delle attrezzature speciali per tagliare il pezzo di muro che bloccava la sua gamba. Lì abbiamo capito che anche l’altra gamba era bloccata. Un uomo è sceso tra le macerie per tagliare l’altro pezzo di muro e solo allora siamo finalmente riusciti a salvarlo» ha raccontato uno dei soccorritori. «Non si sentiva niente. Ho continuato a battere contro le macerie e alla fine qualcuno ha risposto ed è venuto in mio aiuto. Sono rimasto senza mangiare e non avevo niente da bere, quindi ho bevuto la mia urina» ha dichiarato il ragazzo di 28 anni dopo il suo salvataggio. Un altro uomo è stato trovato vivo, ma purtroppo è morto poco prima che i soccorsi potessero arrivare a liberarlo. Nel frattempo sono in corso violenti proteste a Kathmandu contro la mancanza di aiuti da parte del Governo nepalese tanto che è stata dispiegata la polizia in tenuta antisommossa. Secondo un rapporto redatto dall’Organizzazione delle Nazioni Unite, dal giorno del terremoto solo 14 persone sono state trovate vive sotto le macerie. Il bilancio ufficiale è di 4731 morti. Solo a Kathmandu ci sono state oltre 1400 vittime. Tantissime sono ancora le persone disperse, tanto che le stime fanno pensare che i morti possano essere più di 10.000. Ancora dispersi dieci italiani. Tutt’ora il Nepal registra alcune scosse di terremoto, seppur di assestamento. La Nazione è diventata ormai una tendopoli a cielo aperto, con un alto rischio di epidemie. Il cibo e l’acqua sono insufficienti, gli ospedali sono impreparati a dover assistere oltre 8000 feriti e gli aiuti umanitari risultano privi di ogni coordinamento.

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